MANUALE PER VIP
Rubrica a cura di Augusto Cavadi

Augusto Cavadi, Manuale per Vip
«Eh, no! Mi dispiace. Se vi siete incuriositi a questa nuova rubrica perché immaginate che parli di questo o quel Vip (dall'inglese "very important person"), rimarrete delusi. Niente pettegolezzi, indiscrezioni, dicerie: l'ottanta per cento della carta stampata e delle televisioni ne è già zeppa! Ho voluto scegliere questa sigla, invece, come abbreviazione di "Vivere in pienezza"...»
Dal post introduttivo ►

29 novembre 2017

Manlio Sgalambro secondo Miccione and Friends

In rete, nello spazio www.sfi.it, potete scaricare gratuitamente una rivista di didattica della filosofia dal titolo “Comunicazione filosofica”. Nell’ultimo numero (39) è ospitata anche una mia RECENSIONE a

Manlio Sgalambro. Breve invito all’opera.
Davide Miccione (a cura di), "Manlio Sgalambro. Breve invito all’opera". Lettere da Qalat, Caltagirone (Catania) 2017, pp. 197, euro 15,00.

Quel poco che conoscevo di Manlio Sgalambro non mi aveva stuzzicato il desiderio di saperne di più. Ma l’incontro con questo bel libro a quattro firme (Manlio Sgalambro. Breve invito all’opera, a cura di Davide Miccione, Lettere da Qalat, Caltagirone 2017, pp. 197, euro 15,00) mi ha indotto a cambiare idea e a constatare che, davvero, ora che è morto, “tra i tanti esemplari umani ormai riducibili a pochi tipi, e noiosamente ritornanti sul proscenio del presente, Sgalambro spicca sempre di più” (p. 8).
Il primo capitolo, di Davide Miccione, è dedicato a I molti nomi del filosofo o, come spiega meglio il sottotitolo, a delineare La figura del pensatore in Manlio Sgalambro. Più che in positivo, tale figura viene ricavata in negativo, sulla base delle idiosincrasie del pensatore siciliano: non è un accademico né un docente di scuola dal momento che – secondo la sintesi efficace di Miccione – per Sgalambro “lo spirito soffia dove vuole, ma non in un’aula” (p. 30);  non è un erudito (“In filosofia non è ammessa ‘cultura’. Il corpo a corpo con lo spirito è un’altra cosa. Cultura è ciò che resta dopo che lo spirito se ne è andato”, p. 31); vive appartato e solitario; pericoloso per l’uomo comune almeno quanto l’uomo comune lo è per il filosofo; dedito a un sapere che – del tutto controcorrente – è “luogo delle certezze e non dei dubbi, della chiusura nel sistema come forma ideale, del rifiuto di una storia della filosofia, del rifiuto dell’ermeneutica, insomma del rifiuto di tutte quelle dimensioni che possono permetterci di articolare la convivenza tra filosofie diverse senza postulare che ve ne possa essere solo una” (p. 36). Il filosofo è “chierico” (p. 38), “teologo” (p. 40) sia pure di una religione empia, “conoscitore”  e “avventuriero” (p. 44), “scrittore di filosofia” o, per essere più precisi, dell’“opera filosofica” (p. 48).
Ma quali sono i contenuti precipui di quest’opera filosofica sgalambriana? Nel suo saggio Manlio Sgalambro: pessimismo e misoteismo Salvatore Ivan D’Agostino individua due principali linee teoretiche: “il pessimismo di derivazione schopenhaueriana” (p. 51) e l’“odio per Dio” (p. 61) che è spesso “una reazione emozionale alla sindrome di Stoccolma religiosa secondo la quale siamo costretti più o meno consapevolmente ad amare l’essere (supposto) che ci tiene in miseria, ci fa soffrire ed alla fine immancabilmente ci uccide” (p. 76). Da queste due matrici si generano diversi frutti, più o meno avvelenati, tra cui l’“antinatalismo” (per usare l’etichetta di David Benatar) o, più semplicemente, la tesi che non nascere è da ogni punto di vista preferibile a nascere.
Sgalambro ha affidato la sua filosofia anche alle composizioni in versi: di queste si occupa, con fine erudizione, Giovanni Miraglia nel suo Caravanserraglio d’argomenti. Manlio Sgalambro o della impoesia. Al suo sguardo il pensatore di Lentini appare come un antico greco per il quale “non v’erano precisi confini tra pensiero astratto, scienza, musica e letteratura” (p. 85). Ma se allora la poesia poteva aspirare a una funzione religiosa o civica, Sgalambro si dedica invece a sopprimere ogni “funzione salvifica”, “in primis per mezzo dell’ironia” (p. 91). Un’ironia che giunge dalle “lande teutoniche, forgiata nella fucina romantica e idealistica” e avente “il suo perno nel comico come frutto della contraddizione” o, per dirla con Kant, “il dissolversi nel nulla di un’attesa vivissima” (p. 94). Miraglia ripercorre con dovizia di collegamenti le “quattro stazioni” in cui è “scandito il cammino impoetico di Manlio Sgalambro” (p.83): ma, in questa sede, non possiamo che rimandare alle sue pagine così dotte.
Il quarto e ultimo saggio del volume (Un cavaliere dell’intelletto: Manlio Sgalambro), di Cosimo Cucinotta, esamina il testo del libretto di un’opera lirica – Il cavaliere dell’intelletto, appunto – dedicata a Federico II, nell’ottavo centenario della nascita, che il filosofo siciliano scrisse per Franco Battiato. La figura del sovrano svevo-normanno che emerge è complessa almeno come pare sia stata storicamente: “si dichiara consapevole della natura della Verità, una natura effimera e leggera come quella di una cortigiana, che i ragionamenti del filosofo possono solo corteggiare, laddove l’autorità imperiale la possiede totalmente, poiché essa è cosa da re non da filosofo” (pp. 109-110). Sul finire dell’opera, Federico II proclama il “suo messaggio estremo: tra il nascere e il morire – i soli momenti reali – si svolge un sogno ininterrotto da qualche brivido di veglia. Ogni sua azione non è stata altro che un gesto vuoto e senza significato, un guscio arido. L’eroe che ha sempre creduto di agire comprende, rimasto solo sulla scena, che anche l’azione evapora nel nulla e che non gli è stato dato altro destino che non fosse la consapevolezza estrema di essersi vanamente agitato. Il suo impero è stato anch’esso un sogno, destinato a cadere in rovina, un progetto nel cui divenire si occultava la morte e di  cui sopravvivono solo le parole friabili di cui era fatto: solo le parole restano” (pp. 123-124).

Augusto Cavadi

3 novembre 2017

Siamo tutti malati?

Filosofia per la vita - Benessere

Sono in tanti a lanciare segnali di allarme. Nell’ultimo numero di "D" (il settimanale di Repubblica), Umberto Galimberti, in risposta a un lettore che lamenta la medicalizzazione sempre più diffusa degli studenti, non solo sottolinea il dilagare, nella scuola, di diagnosi di disturbi di apprendimento o di deficit di attenzione, ma allarga lo sguardo all’intera società e ne coglie i mutamenti nel cambiamento del linguaggio sempre più impregnato di psicologismo.
Siamo tutti stressati, la timidezza è diventata “ansia sociale”, i bambini particolarmente vivaci sono etichettati come “iperattivi”, se perdiamo lavoro abbiamo bisogno di assistenza psicologica, lo studente che viene bruscamente richiamato per una mancanza, ne risulta traumatizzato.
Un trauma non si nega a nessuno.
Nuove sintomatologie, per la precisione 550, sono state inserite nella quinta edizione (2013) del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), pubblicato per la prima volta nel 1954.
In sintesi: siamo tutti fragili e abbiamo tutti bisogno di cura. O forse no. Ci sono i vincenti, coloro che hanno successo. A parte che si fa fatica a considerare sani certi personaggi potenti (qualcuno li definisce psicopatici di successo), occorre considerare che per mantenere il successo, in una società ‘liquida’, in rapido cambiamento, hanno anche loro bisogno di qualche supporto (medico, psicologico?).
Niente paura. Un esercito di medici e di psicologi provvede a questo. Il consumo di ansiolitici e antidepressivi è in costante crescita e le diagnosi di problemi psicologici, anche. Perfettamente in linea con questo orientamento è il Disegno di legge che propone l’istituzione della figura professionale dello psicologo in ogni scuola. Un aiuto per studenti e docenti “fragili”.
Che cosa nasconde tutto questo? Il sociologo Furedi nel libro “Il nuovo conformismo”, citato da Galimberti, sostiene che la diffusione di “un’etica terapeutica” risponde a una esigenza di omologazione del “pensare” e soprattutto del “sentire”. Per di più il controllo sociale così realizzato è anche percepito come rassicurante.
Viviamo in una società fondata sui miti dell’efficienza, dell’affermazione personale e dell’immagine, che esalta il principio di prestazione; chi è perdente è perduto. Da qui l’aggressività dell’individuo nei confronti di chi mette in dubbio le sue capacità e il dilagare delle denunce nei confronti di chi lo pone di fronte ai suoi limiti (ne sanno qualcosa gli insegnanti e anche i medici; non è più accettabile neanche il limite estremo: la morte). La reazione aggressiva sembra sia diventata la norma.
L’omologazione di cui parla Furedi è una omologazione culturale per cui risulta estremamente difficile ‘pensare altrimenti’, riflettere sulle idee che hanno invaso la  mente e la possiedono.
Si sente spesso dire che le ideologie sono morte, in realtà ne è rimasta una sola, quella che Pierre Bourdieu ha definito “pensiero unico”, una ideologia della privatizzazione per cui ciò che accade a ogni singolo individuo dipende dalla sua personale scelta e il mancato riconoscimento sociale deriva dalla sua inadeguatezza. Come dice Habermas: “Si vede oggi la tendenza di una società sempre meno solidale che spinge ad accettare come normale e ovvio un egoismo razionalista che con gli imperativi del mercato è penetrato fin dentro i pori di un ambiente di vita colonizzato”.¹

Filosofia per la vita - Psicologia

Esistono però dei tentativi che vanno in un’altra direzione. Partendo dalla consapevolezza della complessità e della difficoltà del compito, un grande psicologo come il prof. Mario Bertini si è dedicato negli ultimi anni alla critica del modello malattia e alla promozione della salute. Salute intesa non soltanto come assenza di malattia, ma come stato di benessere fisico, psichico, sociale e spirituale.
É un vero e proprio cambiamento di paradigma che chiama in causa medici, psicologi, politici, economisti e filosofi. Non basta un aumento del PIL per stare bene perché, come sottolinea Gadamer, “la salute non è semplicemente un sentirsi, ma un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme agli altri uomini ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai compiti particolari della vita”.² La parola “terapia” nel lessico di Bertini è sostituita da “promozione delle risorse”. Il lessico è importante (le parole danno forma al nostro mondo) e in questo caso la parola indica che occorre focalizzare l'attenzione non sul problema, ma sulle potenzialità della persona. Promuovere significa “muovere verso” e contiene il concetto di sviluppo e relazionalità.
La psicologia, nata dalla filosofia, per acquisire uno statuto scientifico si è avvicinata alla medicina, intesa, in Occidente, come cura delle malattie e ne è stata profondamente influenzata. Il modello terapeutico, che sottende che c’è qualcosa di patologico da correggere, è prevalso e ha invaso ogni campo.
Per percorrere la strada della salute, Bertini suggerisce un’apertura di dialogo della psicologia con le scienze umane e in particolare con la filosofia, perché la salute positiva non è solo una questione medica, è soprattutto una questione filosofica. Il pensiero filosofico che attraversa la storia dell’umanità è “una fonte indispensabile di ispirazione per chi voglia individuare le tracce della good life”.³

Anna Colaiacovo


¹ J. Habermas, La Repubblica, 27/12/2010
² Hans-Georg Gadamer, Cortina, 1993, pag. 122
³ M. Bertini, Psicologia della salute, Cortina, 2012, pag. 364