In un recente intervento Umberto Galimberti – noto filosofo e psicoanalista – ha affermato: “Molta gente si sposta dal mondo psicoanalitico al mondo filosofico. Non dimentichiamo che la filosofia è anche una teoria della vita, è nata soprattutto per questo”. Ma è vero?
Ci sono diverse questioni da considerare. Di certo è vero che la psicoanalisi ha molto meno successo di una volta, ed è vero pure che da qualche tempo, come dice ancora Galimberti “si è diffusa oltre alla psicoanalisi la consulenza filosofica”. Lui parla degli Sati Uniti, ma la cosa è vera anche per l’Europa, specialmente nel Nord della stessa – si sa, noi arriviamo sempre dopo: mi dicono i colleghi olandesi che ad Amsterdam una persona su tre sa di cosa si tratta quando si parla di consulenza filosofica! Ed è vero anche, inoltre, che molte persone che un tempo si rivolgevano alla psicoanalisi oggi si rivolgono alla consulenza filosofica, probabilmente perché, come la psicoanalisi, la consulenza filosofica offre la possibilità di rivedere la propria visione del mondo e di sé stessi e offre così la possibilità di una conoscenza che assume la forma di un viaggio, di una ricerca, di una scoperta continua.
D’altra parte va anche detto che la psicoanalisi e la consulenza filosofica non sono la stessa cosa, e qui si apre il dibattito. Quali sono le differenze? In primo luogo la psicoanalisi è spesso anche una psicoterapia, ma attenzione, non lo è necessariamente e anzi, secondo molti illustri psicoanalisti, tra i quali per esempio Jacques Lacan, non lo è proprio: lo scopo di una psicoanalisi non è “guarire” il paziente, che infatti Lacan chiama “analizzante”, esattamente come per il consulente filosofico il suo interlocutore è un “consultante”.
Ma allora differiscono nel metodo? Questo si, indubbiamente: la consulenza filosofica non va in cerca di qualcosa di originario, di rimosso, di ritrovabile, a meno che tutto questo non abbia a che vedere coi pensieri. Insomma, la consulenza filosofica si occupa delle idee, e se cura qualcosa, cura le idee, che possono essere anch’esse, come afferma sempre Galimberti “ammalate”. Certo, spesso i due campi possono avvicinarsi perché le idee si portano appresso anche le emozioni, gli affetti, i progetti e così via.
Per fare un esempio concreto, una giovane donna in crisi in tutti i settori della vita a un certo punto mi dice che ci sono delle cose che devono essere date per certe, come verità assolute. Non l’ho contraddetta anzi, da bravo consulente filosofico – noi facciamo un po’ come faceva Socrate – le ho chiesto, in pratica, di provare a convincermi di alcune di queste verità. Il risultato potete immaginarlo, e quando la consultante ha affermato, tra il dispiaciuto e l’indispettito, che qualcosa di assolutamente vero doveva pur esserci, io mi sono limitato a chiederle: “E perché mai?”. E di lì abbiamo affrontato quello che era il vero problema: la paura di arrischiarsi ad agire in condizioni di incertezza…
Come si vede il confine tra una consulenza filosofica e una psicoanalisi può essere labile, così come tra la consulenza filosofica e il life coaching – che per me sono più o meno la stessa cosa – anche se resta il fatto che la consulenza filosofica ha un andamento e uno stile “filosofici”, il che tradotto in soldoni significa che va alla ricerca della verità, cioè delle buone regole (o delle buone pratiche) del conoscere, dell’agire e del sentire – le quali tre ultime cose sono, per chi si ricorda qualcosa di filosofia, rispettivamente la teoretica o ragion pura, l’etica o ragion pratica e, infine, il sentire, l’estetica.
Tutto chiaro? Fino a un certo punto. C’è chi non è d’accordo. Per esempio il filosofo Franco Rella, che chiamato in causa sullo stesso argomento su cui è intervenuto Galimberti, in un’intervista ha detto, tra l’altro riferendosi a Sloterdijk, che è uno dei più interessanti filosofi contemporanei tedeschi, che il “counseling filosofico propone una serie di esercizi” che invitano a “cambiare, mutare, rinnovarsi” allo scopo di trovare “la pace e la certezza”, e che in tal modo “tradisce ciò che la filosofia è o dovrebbe essere. Vale a dire, da Platone in poi, una ricerca inesausta del sapere: sapere il mondo, sapere il soggetto, sapere sé e gli altri…” .
Faccio notare che sono d’accordo sul campo di ricerca (l’ho detto poco sopra), ma non vedo perché questa ricerca debba essere “inesausta”, anche perché non è affatto vero che lo sia per tutti i filosofi, e do al riguardo un paio di nomi non da poco: Spinoza e Hegel. Ma a parte questo, trovo fuori bersaglio, e lo troverebbe anche Galimberti, avvicinare la consulenza filosofica all’esclusiva volontà di conseguire “pace e certezza”. Non si tratta certo di prendere un ansiolitico, ma caso mai di avanzare nella ricerca e trovare livelli di comprensione superiori, e ancora superiori, e ancora... Ma a un certo punto bisogna avere la saggezza di dire basta: il che è anche un po’ ammettere che siamo degli esseri limitati, dalle scarse risorse, soggetti al conflitto e alla contraddizione. In una parola molto filosofica: esseri finiti. Alla tua serenità e alla tua saggezza!
L’articolo Consulenza filosofica o psicoanalisi? Un confronto tra l’essenza delle due pratiche é apparso per la prima volta nella mia rubrica sull’Huffington Post.
Paolo Cervari