• Augusto Cavadi •
Se qualcuno, incuriosito da pezzi giornalistici o da personaggi letterari (come uno dei protagonisti del romanzo La cura Schopenhauer di Irvin D. Yalom), volesse saperne di più sulla consulenza filosofica, ha la possibilità di informarsi attingendo direttamente a una delle fonti più autorevoli. Infatti, dopo sedici anni dalla prima edizione (con Apogeo), è stato adesso riedito, con alcune significative integrazioni, Il pensiero e la vita. Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche (Algra, Viagrande 2020, pp. 164) di Neri Pollastri: uno dei primissimi volumi organici sull’argomento, a firma del pioniere della "filosofia «in pratica»" in Italia.
Nel primo capitolo si espone una panoramica delle principali "pratiche filosofiche" (dalla Philosophy for children ai Café Philo, dai seminari di gruppo alle vacanze e ai viaggi filosofici, sino alle iniziative nel mondo del lavoro) per contestualizzare la "pratica" che l'autore ritiene più rivoluzionaria: la "consulenza filosofica" così come è stata inventata nel 1981 in Germania da Gerd Achenbach (che, giocando su una certa ambivalenza semantica, l'aveva battezzata Philosophische Praxis). Ciò che, secondo l'autore, è più difficile da far comprendere è che essa non è una "nuova professione di cura" (p. 45), ma "autentica e pura filosofia" che "non deve ibridarsi con altre forme d'agire e perciò non deve trasformarsi in «filosofia applicata» - cioè messa in opera di una filosofia determinata, sistematicamente teorizzata e fondata – ma che piuttosto deve «pensare i problemi concreti in modo produttivo», senza esser mai intenzionalmente rivolta a ottenere «risultati» o perseguire «obiettivi». Neppure quello della felicità, del benessere o dell'armonia dell'individuo con il mondo, poiché, paradossalmente, pur costituendo un aiuto, la filosofia non sa cosa questo sia, dato che «solo una coscienza ottusa sa cos'è l'aiuto, solo la stupidità militante sa quando l'uomo è aiutato»" (p. 46). Così intesa, la Philosophische Praxis (tradotta in italiano, non molto fortunatamente, con "consulenza filosofica", prima che la marea di counseling e di counselling invadesse il... mercato) è stata importata nel nostro Paese nel 1999, anche grazie alla fondazione dell'AICF (Associazione italiana di Counseling Filosofico) che, dopo un breve cammino unitario, si scinderà in SICoF – Società Italiana di Counseling Filosofico (guidata da psicologi e da filosofi orientati alla utilizzazione della filosofia a scopi terapeutici) e in Phronesis – Associazione italiana per la Consulenza Filosofica (tuttora l'associazione nazionale più consistente), decisa a salvaguardare la specificità originale dell'approccio filosofico e la sua irriducibilità a strumento per qualcos'altro (pp. 84–86).
Proprio a un serrato confronto tra filosofia (e dunque, in particolare, consulenza filosofica) e psicologia (e dunque, in particolare, approcci psicoterapeutici) è dedicato il secondo capitolo. Ovviamente il confronto avviene nella consapevolezza che il mondo "phi" e il mondo "psi" sono, al proprio interno, estremamente variegati e che, perciò, è facile scivolare in generalizzazioni affrettate: da qui l'attenzione specifica su correnti, come la logoterapia di Victor Frankl (pp. 110–115) o il counseling psicologico di Carl Rogers (pp. 118-124), che più somigliano alla consulenza filosofica. Neri Pollastri insiste, proprio a causa dei punti di contatto, sulle differenze epistemologiche: laddove uno psicoterapeuta ha maturato "una qualche concezione «scientifica» della struttura psichica dell'uomo sufficientemente univoca e sostanzialmente stabile", che può utilizzare per "leggere e interpretare le persone" che gli stanno davanti ("pazienti") e le loro problematiche, allo scopo di "ricondurre tali problematiche entro la cornice «normale» che si ritiene debba caratterizzare le persone «sane», al contrario il filosofo in colloquio con il consultante ("ospite") "tende a mettere in discussione gran parte delle conoscenze consolidate, non agisce finalisticamente e non mira a «risolvere» i problemi, bensì ad allargarne a dismisura il numero" (p. 124).
Questo atteggiamento di consapevolezza della propria ignoranza, che "fonda la ricerca inesausta del sapere e conduce alla saggezza" (p. 128), il filosofo-in-pratica non lo inventa di certo: lo eredita da tutta la tradizione del pensiero occidentale (per non allargare lo sguardo alle tradizioni orientali, cui pure l'autore dedica le pp. 188–194), da Socrate ai nostri giorni. Ma, ancora una volta, bisogna guardarsi dall'omologazione schematica: dentro la storia della filosofia ci sono accentuazioni differenti. Pollastri, nel terzo capitolo, si sofferma criticamente su alcune esemplificazioni che, nella narrazione dominante, vengono raccontate in maniera spesso enfatica ed a-problematica, talora caricaturale: Socrate (pp. 151–168), Aristotele e le scuole ellenistiche rivisitate da Foucault, Hadot e Nussbaum (pp. 168–181), Hegel (pp. 182–188).
Solo al termine di questa paziente esplorazione, nel tempo e nello spazio, l'autore si consente – ed è il quarto capitolo - l'esposizione della propria "concezione della consulenza filosofica": una conversazione in cui il consultante espone una sua problematica specifica (che lo ha spinto a cercare un interlocutore professionalmente qualificato) ed il consulente, riflettendo sulla visione del mondo dell'ospite che s'intravede fra le righe della narrazione, ne sollecita "una sua ri-comprensione, ri-elaborazione, ri-costruzione" (p. 209). L'obiettivo tendenziale del dialogo sarebbe, dunque, di trasformare progressivamente la concezione del mondo, della vita, della storia... del consultante da "sapere immediato e ingenuo" in una «filosofia» "esplicita e consapevole" (p. 209).
Pollastri sa bene che quanti si accostano per la prima volta alla conoscenza di questa nuova professione non si accontentano di linee generali, sono curiosi di sapere in concreto come si opera. Nel quinto capitolo – La pratica in pratica – egli recepisce questa curiosità, ma sostanzialmente per deluderla: come ogni evento filosofico, anche i colloqui in consulenza sono ogni volta inediti, ogni volta unici. Chi vuole intraprendere questa professione, o chi ne vuole fruire come consultante-ospite, non può che sperimentarla e, man mano che la vive, rifletterci retrospettivamente per valutarne dinamiche ed esiti. Troppo semplice e, dunque, troppo difficile: per le stesse ragioni per cui improvvisare con uno strumento musicale è quanto di più facile possa riuscire a un musicista, se però è molto preparato. Come recita il brevissimo capitolo sei, Ogni conclusione è sempre un novo inizio: la consulenza perfetta non esiste, esiste la buona consulenza e la si riconosce dal fatto che si presta come trampolino per lanciarsi con più fiducia verso la successiva.
Anche da questi brevi cenni si evince che la professione del consulente filosofico incarna la paradossalità e l'inattualità della filosofia tout court. Non possono dunque stupire le pagine della Postfazione che l'autore aggiunge a questa seconda edizione per fare il punto sulle tante difficoltà sinora incontrate dalla consulenza filosofica - non solo in Italia – per affermarsi come professione riconosciuta non solo legalmente, ma soprattutto culturalmente e socialmente. Nell'epoca del pensiero strategico, del paradigma dell'efficienza produttiva, dell'enfatizzazione dell'io sarebbe davvero strano se fosse accolta trionfalmente una proposta che, come primo gesto, mette in discussione proprio quel tipo di pensiero strumentale, di paradigma pragmatistico, di concentrazione sul proprio ombelico. La scommessa è tutta in corso: riuscirà la consulenza filosofica – senza camuffarsi di altro (psicoterapia, addestramento formativo, counseling, guida religiosa, coaching, indottrinamento ideologico, magistero carismatico da caposcuola filosofico...) - a farsi riconoscere pubblicamente da una società che ne ha un bisogno reale inversamente proporzionale al bisogno percepito? O forse non è un caso che i filosofi, solitamente, sono stati perseguitati se in anticipo ed esaltati se in perfetta sincronia con lo spirito del tempo?
Proprio a un serrato confronto tra filosofia (e dunque, in particolare, consulenza filosofica) e psicologia (e dunque, in particolare, approcci psicoterapeutici) è dedicato il secondo capitolo. Ovviamente il confronto avviene nella consapevolezza che il mondo "phi" e il mondo "psi" sono, al proprio interno, estremamente variegati e che, perciò, è facile scivolare in generalizzazioni affrettate: da qui l'attenzione specifica su correnti, come la logoterapia di Victor Frankl (pp. 110–115) o il counseling psicologico di Carl Rogers (pp. 118-124), che più somigliano alla consulenza filosofica. Neri Pollastri insiste, proprio a causa dei punti di contatto, sulle differenze epistemologiche: laddove uno psicoterapeuta ha maturato "una qualche concezione «scientifica» della struttura psichica dell'uomo sufficientemente univoca e sostanzialmente stabile", che può utilizzare per "leggere e interpretare le persone" che gli stanno davanti ("pazienti") e le loro problematiche, allo scopo di "ricondurre tali problematiche entro la cornice «normale» che si ritiene debba caratterizzare le persone «sane», al contrario il filosofo in colloquio con il consultante ("ospite") "tende a mettere in discussione gran parte delle conoscenze consolidate, non agisce finalisticamente e non mira a «risolvere» i problemi, bensì ad allargarne a dismisura il numero" (p. 124).
Questo atteggiamento di consapevolezza della propria ignoranza, che "fonda la ricerca inesausta del sapere e conduce alla saggezza" (p. 128), il filosofo-in-pratica non lo inventa di certo: lo eredita da tutta la tradizione del pensiero occidentale (per non allargare lo sguardo alle tradizioni orientali, cui pure l'autore dedica le pp. 188–194), da Socrate ai nostri giorni. Ma, ancora una volta, bisogna guardarsi dall'omologazione schematica: dentro la storia della filosofia ci sono accentuazioni differenti. Pollastri, nel terzo capitolo, si sofferma criticamente su alcune esemplificazioni che, nella narrazione dominante, vengono raccontate in maniera spesso enfatica ed a-problematica, talora caricaturale: Socrate (pp. 151–168), Aristotele e le scuole ellenistiche rivisitate da Foucault, Hadot e Nussbaum (pp. 168–181), Hegel (pp. 182–188).
Solo al termine di questa paziente esplorazione, nel tempo e nello spazio, l'autore si consente – ed è il quarto capitolo - l'esposizione della propria "concezione della consulenza filosofica": una conversazione in cui il consultante espone una sua problematica specifica (che lo ha spinto a cercare un interlocutore professionalmente qualificato) ed il consulente, riflettendo sulla visione del mondo dell'ospite che s'intravede fra le righe della narrazione, ne sollecita "una sua ri-comprensione, ri-elaborazione, ri-costruzione" (p. 209). L'obiettivo tendenziale del dialogo sarebbe, dunque, di trasformare progressivamente la concezione del mondo, della vita, della storia... del consultante da "sapere immediato e ingenuo" in una «filosofia» "esplicita e consapevole" (p. 209).
Pollastri sa bene che quanti si accostano per la prima volta alla conoscenza di questa nuova professione non si accontentano di linee generali, sono curiosi di sapere in concreto come si opera. Nel quinto capitolo – La pratica in pratica – egli recepisce questa curiosità, ma sostanzialmente per deluderla: come ogni evento filosofico, anche i colloqui in consulenza sono ogni volta inediti, ogni volta unici. Chi vuole intraprendere questa professione, o chi ne vuole fruire come consultante-ospite, non può che sperimentarla e, man mano che la vive, rifletterci retrospettivamente per valutarne dinamiche ed esiti. Troppo semplice e, dunque, troppo difficile: per le stesse ragioni per cui improvvisare con uno strumento musicale è quanto di più facile possa riuscire a un musicista, se però è molto preparato. Come recita il brevissimo capitolo sei, Ogni conclusione è sempre un novo inizio: la consulenza perfetta non esiste, esiste la buona consulenza e la si riconosce dal fatto che si presta come trampolino per lanciarsi con più fiducia verso la successiva.
Anche da questi brevi cenni si evince che la professione del consulente filosofico incarna la paradossalità e l'inattualità della filosofia tout court. Non possono dunque stupire le pagine della Postfazione che l'autore aggiunge a questa seconda edizione per fare il punto sulle tante difficoltà sinora incontrate dalla consulenza filosofica - non solo in Italia – per affermarsi come professione riconosciuta non solo legalmente, ma soprattutto culturalmente e socialmente. Nell'epoca del pensiero strategico, del paradigma dell'efficienza produttiva, dell'enfatizzazione dell'io sarebbe davvero strano se fosse accolta trionfalmente una proposta che, come primo gesto, mette in discussione proprio quel tipo di pensiero strumentale, di paradigma pragmatistico, di concentrazione sul proprio ombelico. La scommessa è tutta in corso: riuscirà la consulenza filosofica – senza camuffarsi di altro (psicoterapia, addestramento formativo, counseling, guida religiosa, coaching, indottrinamento ideologico, magistero carismatico da caposcuola filosofico...) - a farsi riconoscere pubblicamente da una società che ne ha un bisogno reale inversamente proporzionale al bisogno percepito? O forse non è un caso che i filosofi, solitamente, sono stati perseguitati se in anticipo ed esaltati se in perfetta sincronia con lo spirito del tempo?
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