• Augusto Cavadi •
Alla domanda sull'identità professionale – e prima ancora epistemologica – di un consulente filosofico si può rispondere in vari modi. Uno di questi è partire da una negazione: la consulenza filosofica non è il counseling filosofico. So che questo avvio può stupire non pochi dal momento che, nell'uso comune, le due denominazioni si equivalgono. Ma, dal momento che si tratta di due mestieri differenti, la loro identificazione nell'immaginario collettivo, e dunque anche nel vocabolario condiviso, non può che danneggiare entrambi. La distinzione è particolarmente urgente perché a obnubilarla sono non soltanto, direi legittimamente, i non-addetti-ai-lavori quanto alcuni esponenti stessi delle due professioni (in alcuni casi condizionati dall'anglofonia dilagante per cui si suppone che un servizio, un prodotto, un bene culturale debbano esercitare una più efficace attrazione se la sua denominazione viene tradotta in inglese: vuoi mettere sullo stesso piano "impresario di pompe funebri" e "funeral manager"?).
Che cosa non è un consulente filosofico
Per rendere un po' più evidente la distinzione che propongo devo premettere un rapidissimo schizzo storico-sociologico su alcuni movimenti, o sommovimenti, registratisi nel mondo della filosofia contemporanea. Per varie ragioni e con vari intenti negli ultimi cinque decenni l'attività filosofica, senza rinunziare alla sua dimensione 'teoretica' (cioè conoscitiva, contemplativa, speculativa) si è declinata in senso più accentuatamente 'pratico', dando vita a un variegato arcipelago di 'pratiche filosofiche' (dalla Philopsophy for children al Dialogo socratico, dai Caffè filosofici ai Ritiri meditativi filosofici). In questo arcipelago si possono rintracciare due isolette vicine e, soprattutto se osservate da lontano, molto simili: la consulenza filosofica, appunto, e il counseling filosofico. Per chiarire che si tratta, nonostante l'apparenza, di due attività professionali nettamente differenti può risultare prezioso un recente, piccolo grande libro di Davide Miccione, a giudizio del quale il counselor è un professionista che offre "aiuto" utilizzando il patrimonio filosofico trimillenario (spesso e volentieri non solo occidentale) per fornire a chi gli si rivolge delle indicazioni di carattere esistenziale, etico o psicologico; laddove il consulente (almeno nell’accezione adottata da Miccione sulla scia di Neri Pollastri) non promette nessun genere di 'aiuto' in senso terapeutico o pedagogico e si propone solo come interlocutore di un consultante che desideri filosofare sulla propria esistenza o su alcuni nodi in cui essa si imbatte. Ma vediamo di approfondire la questione (e, così facendo, di rispondere in positivo alla domanda iniziale sull'identità epistemico-professionale di un consulente filosofico). Miccione ricorda, in proposito, "la definizione di consulenza filosofica data dal suo principale protagonista italiano": "un'attività professionale nella quale il filosofo, esclusivamente in quanto filosofo, si mette a disposizione delle donne e degli uomini che, individualmente o in gruppi ristrettissimi, sentano l'esigenza di affrontare con rigore, attenzione, spirito di ricerca e confronto dialogico problemi e questioni poste a essi dalla vita".
Per rendere un po' più evidente la distinzione che propongo devo premettere un rapidissimo schizzo storico-sociologico su alcuni movimenti, o sommovimenti, registratisi nel mondo della filosofia contemporanea. Per varie ragioni e con vari intenti negli ultimi cinque decenni l'attività filosofica, senza rinunziare alla sua dimensione 'teoretica' (cioè conoscitiva, contemplativa, speculativa) si è declinata in senso più accentuatamente 'pratico', dando vita a un variegato arcipelago di 'pratiche filosofiche' (dalla Philopsophy for children al Dialogo socratico, dai Caffè filosofici ai Ritiri meditativi filosofici). In questo arcipelago si possono rintracciare due isolette vicine e, soprattutto se osservate da lontano, molto simili: la consulenza filosofica, appunto, e il counseling filosofico. Per chiarire che si tratta, nonostante l'apparenza, di due attività professionali nettamente differenti può risultare prezioso un recente, piccolo grande libro di Davide Miccione, a giudizio del quale il counselor è un professionista che offre "aiuto" utilizzando il patrimonio filosofico trimillenario (spesso e volentieri non solo occidentale) per fornire a chi gli si rivolge delle indicazioni di carattere esistenziale, etico o psicologico; laddove il consulente (almeno nell’accezione adottata da Miccione sulla scia di Neri Pollastri) non promette nessun genere di 'aiuto' in senso terapeutico o pedagogico e si propone solo come interlocutore di un consultante che desideri filosofare sulla propria esistenza o su alcuni nodi in cui essa si imbatte. Ma vediamo di approfondire la questione (e, così facendo, di rispondere in positivo alla domanda iniziale sull'identità epistemico-professionale di un consulente filosofico). Miccione ricorda, in proposito, "la definizione di consulenza filosofica data dal suo principale protagonista italiano": "un'attività professionale nella quale il filosofo, esclusivamente in quanto filosofo, si mette a disposizione delle donne e degli uomini che, individualmente o in gruppi ristrettissimi, sentano l'esigenza di affrontare con rigore, attenzione, spirito di ricerca e confronto dialogico problemi e questioni poste a essi dalla vita".