• Anna Colaiacovo •
La pandemia che sta mettendo a dura prova la nostra organizzazione sociale, l'economia e, soggettivamente, il nostro equilibrio psichico ha fatto emergere in maniera potente le contraddizioni e gli squilibri del mondo in cui viviamo e ha reso platealmente evidente la condizione di vulnerabilità degli umani e di interdipendenza dall'altro e dalla natura.
Ha messo in discussione quelli che nel tempo, a partire dal Rinascimento, sono stati i pilastri su cui si è retta la visione dell'uomo in Occidente: individualismo, autonomia, razionalità come capacità di trasformare la realtà in funzione del proprio interesse. Una visione che ha dominato e ancora domina il pensiero liberale moderno, fondato sull'egemonia dell'homo oeconomicus, individualista ed egoista.
La crisi economica degli ultimi anni aveva già reso evidente l'inadeguatezza del neoliberismo e dei suoi presupposti antropologici. Aveva cioè rivelato che la ricerca del proprio interesse non porta a un miglioramento delle condizioni di tutti e che l’egoismo non è l'unico motore delle azioni umane. In realtà l'uomo ha una natura polimorfa, sa essere individualista o empatico e generoso. Forse il problema è creare le condizioni perché si sviluppino le disposizioni emotive prosociali.
La pandemia ci ha colti impreparati. Siamo stati colpiti da un nemico invisibile che ha distrutto le nostre certezze e che ci ha posto improvvisamente di fronte ai nostri limiti. Ci siamo ritrovati fragili e connessi gli uni agli altri, pur in assenza di contatto fisico. Abbiamo scoperto l'importanza della relazione e della cura e la paura della solitudine.
Come usciremo da questa esperienza di estrema vulnerabilità? Sperando di tornare a vivere come prima? Oppure modificando il nostro stile di vita, il nostro rapporto con gli altri e con l'ambiente in cui viviamo? Dipende dalla consapevolezza che abbiamo acquisito da questa esperienza e dalla nostra capacità di immaginare un futuro diverso. Un futuro che si presenta incerto e problematico, con possibili nuove epidemie. Scontiamo gli effetti dell'attività predatoria dell'uomo sul Pianeta Terra che ha condotto alla deforestazione, alla estinzione di migliaia di specie e alla alterazione degli ecosistemi naturali. Dobbiamo convincerci che nella lotta ai cambiamenti climatici è essenziale la difesa e il recupero degli ambienti naturali. Noi non siamo padroni della natura, la nostra vita si fonda sul respiro (mai come in questo periodo ce ne siamo resi conto) e abbiamo bisogno degli alberi che ci permettono di respirare aria pulita.
É vero, la pandemia ha cambiato le nostre priorità. Ci ha fatto comprendere quanto sia necessaria una rete efficiente di assistenza pubblica, che va salvaguardata e incrementata. Ci ha fatto anche toccare con mano l'importanza della tecnologia che ha reso possibile l'informazione, il lavoro, l'insegnamento/apprendimento. Una tecnologia da finanziare purché sia funzionale al bene comune. Ci ha fatto anche comprendere il valore della scienza come antidoto contro il virus e il ruolo imprescindibile dello Stato nella ricerca di soluzioni tese ad affrontare le forti disuguaglianze sociali. In definitiva ci ha reso più consapevoli dei rischi che corriamo come umanità e della necessità di attivare strategie comuni a livello nazionale, europeo e internazionale.
Occorre però mantenere nel tempo, anche in assenza di minacce immediate, una attenzione vigile affinché non prevalgano egoismi e l'altro (essere umano o natura) non svolga solo una funzione strumentale. Da questo punto di vista, la scuola assume una posizione centrale.
Martha Nussbaum da anni lotta negli Stati Uniti contro la tendenza a ridurre gli studi umanistici. La cultura umanistica, sostiene, sviluppa la capacità di trascendere i localismi, di raffigurarsi l'altro simpateticamente, di elaborare soluzioni nuove a problemi complessi, di difendere la democrazia: «Quando ci troviamo in società, se non abbiamo imparato (...) a immaginare le reciproche capacità di pensiero e di emozione, la democrazia è destinata a cadere perché è costruita sul rispetto e sulla cura, a loro volta costruiti sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti» (M. Nussbaum, Non per profitto: perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2013, p.25).
La crisi economica degli ultimi anni aveva già reso evidente l'inadeguatezza del neoliberismo e dei suoi presupposti antropologici. Aveva cioè rivelato che la ricerca del proprio interesse non porta a un miglioramento delle condizioni di tutti e che l’egoismo non è l'unico motore delle azioni umane. In realtà l'uomo ha una natura polimorfa, sa essere individualista o empatico e generoso. Forse il problema è creare le condizioni perché si sviluppino le disposizioni emotive prosociali.
La pandemia ci ha colti impreparati. Siamo stati colpiti da un nemico invisibile che ha distrutto le nostre certezze e che ci ha posto improvvisamente di fronte ai nostri limiti. Ci siamo ritrovati fragili e connessi gli uni agli altri, pur in assenza di contatto fisico. Abbiamo scoperto l'importanza della relazione e della cura e la paura della solitudine.
Come usciremo da questa esperienza di estrema vulnerabilità? Sperando di tornare a vivere come prima? Oppure modificando il nostro stile di vita, il nostro rapporto con gli altri e con l'ambiente in cui viviamo? Dipende dalla consapevolezza che abbiamo acquisito da questa esperienza e dalla nostra capacità di immaginare un futuro diverso. Un futuro che si presenta incerto e problematico, con possibili nuove epidemie. Scontiamo gli effetti dell'attività predatoria dell'uomo sul Pianeta Terra che ha condotto alla deforestazione, alla estinzione di migliaia di specie e alla alterazione degli ecosistemi naturali. Dobbiamo convincerci che nella lotta ai cambiamenti climatici è essenziale la difesa e il recupero degli ambienti naturali. Noi non siamo padroni della natura, la nostra vita si fonda sul respiro (mai come in questo periodo ce ne siamo resi conto) e abbiamo bisogno degli alberi che ci permettono di respirare aria pulita.
É vero, la pandemia ha cambiato le nostre priorità. Ci ha fatto comprendere quanto sia necessaria una rete efficiente di assistenza pubblica, che va salvaguardata e incrementata. Ci ha fatto anche toccare con mano l'importanza della tecnologia che ha reso possibile l'informazione, il lavoro, l'insegnamento/apprendimento. Una tecnologia da finanziare purché sia funzionale al bene comune. Ci ha fatto anche comprendere il valore della scienza come antidoto contro il virus e il ruolo imprescindibile dello Stato nella ricerca di soluzioni tese ad affrontare le forti disuguaglianze sociali. In definitiva ci ha reso più consapevoli dei rischi che corriamo come umanità e della necessità di attivare strategie comuni a livello nazionale, europeo e internazionale.
Occorre però mantenere nel tempo, anche in assenza di minacce immediate, una attenzione vigile affinché non prevalgano egoismi e l'altro (essere umano o natura) non svolga solo una funzione strumentale. Da questo punto di vista, la scuola assume una posizione centrale.
Martha Nussbaum da anni lotta negli Stati Uniti contro la tendenza a ridurre gli studi umanistici. La cultura umanistica, sostiene, sviluppa la capacità di trascendere i localismi, di raffigurarsi l'altro simpateticamente, di elaborare soluzioni nuove a problemi complessi, di difendere la democrazia: «Quando ci troviamo in società, se non abbiamo imparato (...) a immaginare le reciproche capacità di pensiero e di emozione, la democrazia è destinata a cadere perché è costruita sul rispetto e sulla cura, a loro volta costruiti sulla capacità di vedere le altre persone come esseri umani e non come oggetti» (M. Nussbaum, Non per profitto: perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2013, p.25).
Anna Colaiacovo