«La filosofia-in-pratica nel cammino
della mia ricerca della felicità»
Un caro zio, quando da ragazzo ne combinavo una delle mie, diceva agli altri famigliari preoccupati: “Lasciate stare, Antonio saprà cavarsela da solo: è un filosofo”. Questa definizione di ‘filosofo’ mi lasciava perplesso in quanto sapevo poco o niente di storia della filosofia. Però c’è da dire che, pur se so poco di storia della filosofia, credo di aver avuto una buona filosofia di vita.
Ho inseguito sempre la vera felicità che per me è il benessere, diverso dalla gioia. La gioia infatti è un momento passeggero, la felicità invece - una volta raggiunta - permane per tutta la vita. Essere felici significa essere sereni anche quando ci capita di dover sopportare un dolore. Quindi la felicità si raggiunge nel momento in cui si accettano con uguale equilibrio gioie e dolori.
Mio padre diceva che avevo un pregio: il sapermi accontentare. E’ vero: non ho mai desiderato di avere qualcosa in più di quello che ho avuto, anzi ho spesso ritenuto che quello che ho avuto fosse immeritato. Il “non desiderare” troppo penso sia una virtù filosofica. (Un momento. Pensandoci bene, una volta nella vita ho desiderato di avere il massimo, quando ho chiesto a mia moglie di sposarmi: ne ho pagato le conseguenze, in quanto aveva un carattere difficile).
Quando mi ammalo rammento sempre le parole di Nietzsche: “Tutto ciò che non mi uccide, mi fortifica”. E’ un pensiero che mi porta a preoccuparmi non più di tanto del mio stato. Accetto ciò di immodificabile che mi manda il destino perché ritengo che sia l’atteggiamento saggio; al contrario bisogna lottare per modificare il modificabile.
A seguito di quanto sopra esposto ritengo che la filosofia-in-pratica sia un modo per cercare di raggiungere la felicità vivendo seguendo virtù filosofiche, senza magari conoscere la storia della filosofia. E questo genere di filosofia la coltivo da anni anche attraverso le “cenette filosofiche per non... filosofi”: un incontro quindicinale nel quale si confrontano liberamente i propri pensieri e grazie al confronto, o magari solo ascoltando, mi accorgo di crescere.
Ho inseguito sempre la vera felicità che per me è il benessere, diverso dalla gioia. La gioia infatti è un momento passeggero, la felicità invece - una volta raggiunta - permane per tutta la vita. Essere felici significa essere sereni anche quando ci capita di dover sopportare un dolore. Quindi la felicità si raggiunge nel momento in cui si accettano con uguale equilibrio gioie e dolori.
Mio padre diceva che avevo un pregio: il sapermi accontentare. E’ vero: non ho mai desiderato di avere qualcosa in più di quello che ho avuto, anzi ho spesso ritenuto che quello che ho avuto fosse immeritato. Il “non desiderare” troppo penso sia una virtù filosofica. (Un momento. Pensandoci bene, una volta nella vita ho desiderato di avere il massimo, quando ho chiesto a mia moglie di sposarmi: ne ho pagato le conseguenze, in quanto aveva un carattere difficile).
Quando mi ammalo rammento sempre le parole di Nietzsche: “Tutto ciò che non mi uccide, mi fortifica”. E’ un pensiero che mi porta a preoccuparmi non più di tanto del mio stato. Accetto ciò di immodificabile che mi manda il destino perché ritengo che sia l’atteggiamento saggio; al contrario bisogna lottare per modificare il modificabile.
A seguito di quanto sopra esposto ritengo che la filosofia-in-pratica sia un modo per cercare di raggiungere la felicità vivendo seguendo virtù filosofiche, senza magari conoscere la storia della filosofia. E questo genere di filosofia la coltivo da anni anche attraverso le “cenette filosofiche per non... filosofi”: un incontro quindicinale nel quale si confrontano liberamente i propri pensieri e grazie al confronto, o magari solo ascoltando, mi accorgo di crescere.
Antonio Possanza