• Anna Colaiacovo •

La parola ‘dubbio’ (lat. dubius) riguarda la non definitività delle nostre idee. Se ne comprende il significato già a partire dalla etimologia che la fa risalire a duo, ‘due’. Negli umani, di solito, e tra i filosofi in particolare, quando qualcosa è presentata come verità, genera dubbi. Ed è naturale che li generi. Del resto non dobbiamo dimenticare il Salmo 62 versetto 12 della Bibbia: Una parola ha detto l’Eterno, due ne abbiamo udite.
La parola ‘verità’ deriva dal latino veritas. Con questo termine i Romani traducevano il greco aletheia. I due termini, però, non hanno lo stesso significato. Veritas è conformità a determinati principi e rimanda a qualcosa da accettare potremmo dire ‘per fede’ (non a caso l’anello nuziale è chiamato anche ‘vera’ oltre che ‘fede’). Aletheia, invece, significa disvelamento (ά-λήϑɛια: lo stato del non essere nascosto). La verità viene rivelata nel senso che le viene tolto il velo e per un attimo riluce, ma poiché la natura ama nascondersi (Eraclito) il percorso di conoscenza è senza fine.
Perché un elogio del dubbio? Perché la democrazia è il terreno del dubbio, è l’arte del dialogo contro il dispotismo della verità unica. Non si tratta qui del dubbio scettico, per cui la verità non esiste ed è quindi inutile cercarla, ma dell’atteggiamento nei confronti della verità egregiamente definito, nell’ambito della storiografia (ma estensibile al campo socio-politico), da Luciano Canfora: La verità è come la linea dell’orizzonte che si allontana man mano che cerchi di raggiungerla, ma non per questo devi smettere di cercarla. La ricerca è faticosa, richiede documentazione, esperienza, confronto di testi e confronto di opinioni.
I linguisti denunciano da qualche decennio la crisi del congiuntivo a favore dell’uso dell’indicativo. È un fenomeno che riguarda certamente l’impoverimento del linguaggio, ma non solo. Indica anche la crisi del dubbio. Il congiuntivo è il modo del verbo con cui si esprimono dubbi, incertezze, possibilità o desideri. Il suo uso segnala, nel confronto con l’altro, la capacità di mettersi in discussione, l’umiltà di riconoscere la relatività delle proprie opinioni. Aspetti essenziali in una realtà democratica.
Nell’arco di una generazione, il nostro modo di informarci e di comunicare è stato totalmente modificato dalle reti digitali. Internet ha consentito l’accesso a una quantità straordinaria di informazioni e ha permesso una comunicazione senza vincoli spazio-temporali, al punto da essere considerata sinonimo di libertà. Oggi non ne siamo più così sicuri. Preoccupa l’enorme concentrazione di potere e di risorse economiche nelle mani di oligarchie tecnologiche capaci di controllare l’economia e la politica globale. Un potere che sta mettendo in crisi il sistema di regole e controlli su cui si basano le democrazie liberali. Le fake news dilagano, assistiamo a vere e proprie campagne di manipolazione delle informazioni che puntano al condizionamento sociale. E tutto questo in nome dell’innovazione e della libertà (di consumo per massimizzare i profitti).
Si va accentuando una tendenza già presente nel passato, ma che ora è espressa con particolare forza sui social: assumere una posizione su una determinata questione e portarla avanti senza incertezze o ripensamenti, con la complicità di algoritmi che uniscono il simile con il simile, nel senso che l’interazione avviene prevalentemente con utenti che condividono le stesse opinioni. Si crea in tal modo un effetto molto pericoloso, una polarizzazione tra i cittadini rinchiusi nelle ‘echo chambers’ (camere dell’eco) all’interno delle quali è difficile trovare un punto di vista diverso. È una polarizzazione che rassicura, ma chiude. Ognuno reitera la propria posizione, portando a supporto della stessa anche argomenti, ma evitando accuratamente di rispondere alle obiezioni e così riceve cori di ammirazione dagli amici e qualche insulto dai nemici. Allo stesso modo funzionano ormai i ‘dibattiti’ televisivi che diventano pretesti per dileggiare o offendere l’avversario. Del contenuto interessa assai poco, contano invece l’abilità e l’appello alle emozioni. In rete e soprattutto sui social media colpisce di più ciò che è gridato, esibito con forza, rispetto a ciò che è solo vero.
Se abbiamo a cuore la democrazia, dobbiamo affrontare questi problemi ora, perché, come ha detto Justin Rosenstein, ex di Google e Facebook, creatore poi pentito del ‘like’, “potremmo essere l’ultima generazione in grado di ricordare com’era la vita prima della rivoluzione digitale”.
La parola ‘verità’ deriva dal latino veritas. Con questo termine i Romani traducevano il greco aletheia. I due termini, però, non hanno lo stesso significato. Veritas è conformità a determinati principi e rimanda a qualcosa da accettare potremmo dire ‘per fede’ (non a caso l’anello nuziale è chiamato anche ‘vera’ oltre che ‘fede’). Aletheia, invece, significa disvelamento (ά-λήϑɛια: lo stato del non essere nascosto). La verità viene rivelata nel senso che le viene tolto il velo e per un attimo riluce, ma poiché la natura ama nascondersi (Eraclito) il percorso di conoscenza è senza fine.
Perché un elogio del dubbio? Perché la democrazia è il terreno del dubbio, è l’arte del dialogo contro il dispotismo della verità unica. Non si tratta qui del dubbio scettico, per cui la verità non esiste ed è quindi inutile cercarla, ma dell’atteggiamento nei confronti della verità egregiamente definito, nell’ambito della storiografia (ma estensibile al campo socio-politico), da Luciano Canfora: La verità è come la linea dell’orizzonte che si allontana man mano che cerchi di raggiungerla, ma non per questo devi smettere di cercarla. La ricerca è faticosa, richiede documentazione, esperienza, confronto di testi e confronto di opinioni.
I linguisti denunciano da qualche decennio la crisi del congiuntivo a favore dell’uso dell’indicativo. È un fenomeno che riguarda certamente l’impoverimento del linguaggio, ma non solo. Indica anche la crisi del dubbio. Il congiuntivo è il modo del verbo con cui si esprimono dubbi, incertezze, possibilità o desideri. Il suo uso segnala, nel confronto con l’altro, la capacità di mettersi in discussione, l’umiltà di riconoscere la relatività delle proprie opinioni. Aspetti essenziali in una realtà democratica.
Nell’arco di una generazione, il nostro modo di informarci e di comunicare è stato totalmente modificato dalle reti digitali. Internet ha consentito l’accesso a una quantità straordinaria di informazioni e ha permesso una comunicazione senza vincoli spazio-temporali, al punto da essere considerata sinonimo di libertà. Oggi non ne siamo più così sicuri. Preoccupa l’enorme concentrazione di potere e di risorse economiche nelle mani di oligarchie tecnologiche capaci di controllare l’economia e la politica globale. Un potere che sta mettendo in crisi il sistema di regole e controlli su cui si basano le democrazie liberali. Le fake news dilagano, assistiamo a vere e proprie campagne di manipolazione delle informazioni che puntano al condizionamento sociale. E tutto questo in nome dell’innovazione e della libertà (di consumo per massimizzare i profitti).
Si va accentuando una tendenza già presente nel passato, ma che ora è espressa con particolare forza sui social: assumere una posizione su una determinata questione e portarla avanti senza incertezze o ripensamenti, con la complicità di algoritmi che uniscono il simile con il simile, nel senso che l’interazione avviene prevalentemente con utenti che condividono le stesse opinioni. Si crea in tal modo un effetto molto pericoloso, una polarizzazione tra i cittadini rinchiusi nelle ‘echo chambers’ (camere dell’eco) all’interno delle quali è difficile trovare un punto di vista diverso. È una polarizzazione che rassicura, ma chiude. Ognuno reitera la propria posizione, portando a supporto della stessa anche argomenti, ma evitando accuratamente di rispondere alle obiezioni e così riceve cori di ammirazione dagli amici e qualche insulto dai nemici. Allo stesso modo funzionano ormai i ‘dibattiti’ televisivi che diventano pretesti per dileggiare o offendere l’avversario. Del contenuto interessa assai poco, contano invece l’abilità e l’appello alle emozioni. In rete e soprattutto sui social media colpisce di più ciò che è gridato, esibito con forza, rispetto a ciò che è solo vero.
Se abbiamo a cuore la democrazia, dobbiamo affrontare questi problemi ora, perché, come ha detto Justin Rosenstein, ex di Google e Facebook, creatore poi pentito del ‘like’, “potremmo essere l’ultima generazione in grado di ricordare com’era la vita prima della rivoluzione digitale”.
Anna Colaiacovo
In apertura: illustrazione di René Milot
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