"Nel 2011 sono stato finalmente arrestato per associazione a delinquere e traffico internazionale di stupefacenti... e condannato, poiché colpevole fino all’osso. Potrà sembrare strano o bizzarro, ma paradossalmente in carcere ho trovato il vero me stesso, ho trovato il tempo di riflettere".
Così si esprime F., un detenuto che ho avuto modo di conoscere durante gli incontri filosofici organizzati nel carcere di Pescara. 'Finalmente' perché da lì è iniziato per lui un percorso che lo ha condotto a riesaminare la propria vita, a rendersi conto fino in fondo di quanto avesse subito l'influenza dell'ambiente malavitoso in cui era cresciuto: "sono stato nutrito e allevato con la logica della sopraffazione e della legge del più forte. Mio padre, i miei fratelli erano tutti malavitosi".
Non è semplice avere la capacità di pensare autonomamente e in modo diverso rispetto all'ambiente in cui si è immersi fin dalla nascita. Ma F. non cerca attenuanti, riconosce tutto il male che ha fatto e se ne assume l'intera responsabilità. E aggiunge: "ho trovato il senso del giusto e il vero me stesso nel luogo più improponibile: il 'carcere'". In carcere ha trovato il 'tempo' di riflettere.
Dialogando con i detenuti ci si rende conto che per loro il tema 'tempo' è centrale e può diventare ossessivo. Ne hanno tanto di tempo a disposizione e spesso non sanno cosa farne.
S. (un altro detenuto) si esprime così: "il tempo qui dentro non passa mai... tante ore passate sul letto a guardare il soffitto, che senso può avere la vita così?".
Occorre dare un senso al tempo di vita che si trascorre in carcere, solo così c'è la speranza che la pena tenda alla rieducazione del condannato (art. 27 della Costituzione italiana). Sono certo importanti le opportunità di lavoro (anche per un futuro reinserimento sociale), ma fondamentale, secondo me, è dare la possibilità di riprendere gli studi, dotare il carcere di biblioteche e aiutare i detenuti a riflettere e a allargare i propri orizzonti e a non sottostare a "rapporti di potere che ci sono anche qui dentro e sono anche peggio rispetto a fuori".
F. è diventato in carcere un appassionato lettore, e oggi, pur avendo frequentato soltanto la quinta elementare, dimostra di possedere una cultura e una apertura mentale fuori del comune. Per lui la filosofia è 'imparare a interrogare le domande', definizione che colpisce tutti i presenti agli incontri filosofici. Diamo per scontate le domande e cerchiamo le risposte, mentre è proprio la capacità di interrogare le domande che ha portato F. a mettere in discussione i principi che fino a un certo periodo hanno orientato la sua vita e a non riconoscersi più nell'uomo che era stato.
Inevitabilmente, nei nostri incontri, è stato affrontato tante volte il tema della libertà. E, da A. (un altro detenuto) è venuta l’osservazione più interessante: si può essere liberi interiormente anche in carcere, mentre la mente chiusa nei suoi pregiudizi è in grado di costruire prigioni da dove risulta impossibile evadere.
Così si esprime F., un detenuto che ho avuto modo di conoscere durante gli incontri filosofici organizzati nel carcere di Pescara. 'Finalmente' perché da lì è iniziato per lui un percorso che lo ha condotto a riesaminare la propria vita, a rendersi conto fino in fondo di quanto avesse subito l'influenza dell'ambiente malavitoso in cui era cresciuto: "sono stato nutrito e allevato con la logica della sopraffazione e della legge del più forte. Mio padre, i miei fratelli erano tutti malavitosi".
Non è semplice avere la capacità di pensare autonomamente e in modo diverso rispetto all'ambiente in cui si è immersi fin dalla nascita. Ma F. non cerca attenuanti, riconosce tutto il male che ha fatto e se ne assume l'intera responsabilità. E aggiunge: "ho trovato il senso del giusto e il vero me stesso nel luogo più improponibile: il 'carcere'". In carcere ha trovato il 'tempo' di riflettere.
Dialogando con i detenuti ci si rende conto che per loro il tema 'tempo' è centrale e può diventare ossessivo. Ne hanno tanto di tempo a disposizione e spesso non sanno cosa farne.
S. (un altro detenuto) si esprime così: "il tempo qui dentro non passa mai... tante ore passate sul letto a guardare il soffitto, che senso può avere la vita così?".
Occorre dare un senso al tempo di vita che si trascorre in carcere, solo così c'è la speranza che la pena tenda alla rieducazione del condannato (art. 27 della Costituzione italiana). Sono certo importanti le opportunità di lavoro (anche per un futuro reinserimento sociale), ma fondamentale, secondo me, è dare la possibilità di riprendere gli studi, dotare il carcere di biblioteche e aiutare i detenuti a riflettere e a allargare i propri orizzonti e a non sottostare a "rapporti di potere che ci sono anche qui dentro e sono anche peggio rispetto a fuori".
F. è diventato in carcere un appassionato lettore, e oggi, pur avendo frequentato soltanto la quinta elementare, dimostra di possedere una cultura e una apertura mentale fuori del comune. Per lui la filosofia è 'imparare a interrogare le domande', definizione che colpisce tutti i presenti agli incontri filosofici. Diamo per scontate le domande e cerchiamo le risposte, mentre è proprio la capacità di interrogare le domande che ha portato F. a mettere in discussione i principi che fino a un certo periodo hanno orientato la sua vita e a non riconoscersi più nell'uomo che era stato.
Inevitabilmente, nei nostri incontri, è stato affrontato tante volte il tema della libertà. E, da A. (un altro detenuto) è venuta l’osservazione più interessante: si può essere liberi interiormente anche in carcere, mentre la mente chiusa nei suoi pregiudizi è in grado di costruire prigioni da dove risulta impossibile evadere.
Don Raffaè - Fabrizio De Andrè
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Anna Colaiacovo
In apertura: uno dei tre murali realizzati dall'artista Paul Sonsie (sonsiestudios.com) all'interno della prigione "Karreenga Corrections Facility" a Lara, Victoria, Australia, Settembre 2016.
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