Sono in tanti a lanciare segnali di allarme. Nell’ultimo numero di "D" (il settimanale di Repubblica), Umberto Galimberti, in risposta a un lettore che lamenta la medicalizzazione sempre più diffusa degli studenti, non solo sottolinea il dilagare, nella scuola, di diagnosi di disturbi di apprendimento o di deficit di attenzione, ma allarga lo sguardo all’intera società e ne coglie i mutamenti nel cambiamento del linguaggio sempre più impregnato di psicologismo.
Siamo tutti stressati, la timidezza è diventata “ansia sociale”, i bambini particolarmente vivaci sono etichettati come “iperattivi”, se perdiamo lavoro abbiamo bisogno di assistenza psicologica, lo studente che viene bruscamente richiamato per una mancanza, ne risulta traumatizzato.
Un trauma non si nega a nessuno.
Nuove sintomatologie, per la precisione 550, sono state inserite nella quinta edizione (2013) del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), pubblicato per la prima volta nel 1954.
In sintesi: siamo tutti fragili e abbiamo tutti bisogno di cura. O forse no. Ci sono i vincenti, coloro che hanno successo. A parte che si fa fatica a considerare sani certi personaggi potenti (qualcuno li definisce psicopatici di successo), occorre considerare che per mantenere il successo, in una società ‘liquida’, in rapido cambiamento, hanno anche loro bisogno di qualche supporto (medico, psicologico?).
Niente paura. Un esercito di medici e di psicologi provvede a questo. Il consumo di ansiolitici e antidepressivi è in costante crescita e le diagnosi di problemi psicologici, anche. Perfettamente in linea con questo orientamento è il Disegno di legge che propone l’istituzione della figura professionale dello psicologo in ogni scuola. Un aiuto per studenti e docenti “fragili”.
Che cosa nasconde tutto questo? Il sociologo Furedi nel libro “Il nuovo conformismo”, citato da Galimberti, sostiene che la diffusione di “un’etica terapeutica” risponde a una esigenza di omologazione del “pensare” e soprattutto del “sentire”. Per di più il controllo sociale così realizzato è anche percepito come rassicurante.
Viviamo in una società fondata sui miti dell’efficienza, dell’affermazione personale e dell’immagine, che esalta il principio di prestazione; chi è perdente è perduto. Da qui l’aggressività dell’individuo nei confronti di chi mette in dubbio le sue capacità e il dilagare delle denunce nei confronti di chi lo pone di fronte ai suoi limiti (ne sanno qualcosa gli insegnanti e anche i medici; non è più accettabile neanche il limite estremo: la morte). La reazione aggressiva sembra sia diventata la norma.
L’omologazione di cui parla Furedi è una omologazione culturale per cui risulta estremamente difficile ‘pensare altrimenti’, riflettere sulle idee che hanno invaso la mente e la possiedono.
Si sente spesso dire che le ideologie sono morte, in realtà ne è rimasta una sola, quella che Pierre Bourdieu ha definito “pensiero unico”, una ideologia della privatizzazione per cui ciò che accade a ogni singolo individuo dipende dalla sua personale scelta e il mancato riconoscimento sociale deriva dalla sua inadeguatezza. Come dice Habermas: “Si vede oggi la tendenza di una società sempre meno solidale che spinge ad accettare come normale e ovvio un egoismo razionalista che con gli imperativi del mercato è penetrato fin dentro i pori di un ambiente di vita colonizzato”.¹
Siamo tutti stressati, la timidezza è diventata “ansia sociale”, i bambini particolarmente vivaci sono etichettati come “iperattivi”, se perdiamo lavoro abbiamo bisogno di assistenza psicologica, lo studente che viene bruscamente richiamato per una mancanza, ne risulta traumatizzato.
Un trauma non si nega a nessuno.
Nuove sintomatologie, per la precisione 550, sono state inserite nella quinta edizione (2013) del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), pubblicato per la prima volta nel 1954.
In sintesi: siamo tutti fragili e abbiamo tutti bisogno di cura. O forse no. Ci sono i vincenti, coloro che hanno successo. A parte che si fa fatica a considerare sani certi personaggi potenti (qualcuno li definisce psicopatici di successo), occorre considerare che per mantenere il successo, in una società ‘liquida’, in rapido cambiamento, hanno anche loro bisogno di qualche supporto (medico, psicologico?).
Niente paura. Un esercito di medici e di psicologi provvede a questo. Il consumo di ansiolitici e antidepressivi è in costante crescita e le diagnosi di problemi psicologici, anche. Perfettamente in linea con questo orientamento è il Disegno di legge che propone l’istituzione della figura professionale dello psicologo in ogni scuola. Un aiuto per studenti e docenti “fragili”.
Che cosa nasconde tutto questo? Il sociologo Furedi nel libro “Il nuovo conformismo”, citato da Galimberti, sostiene che la diffusione di “un’etica terapeutica” risponde a una esigenza di omologazione del “pensare” e soprattutto del “sentire”. Per di più il controllo sociale così realizzato è anche percepito come rassicurante.
Viviamo in una società fondata sui miti dell’efficienza, dell’affermazione personale e dell’immagine, che esalta il principio di prestazione; chi è perdente è perduto. Da qui l’aggressività dell’individuo nei confronti di chi mette in dubbio le sue capacità e il dilagare delle denunce nei confronti di chi lo pone di fronte ai suoi limiti (ne sanno qualcosa gli insegnanti e anche i medici; non è più accettabile neanche il limite estremo: la morte). La reazione aggressiva sembra sia diventata la norma.
L’omologazione di cui parla Furedi è una omologazione culturale per cui risulta estremamente difficile ‘pensare altrimenti’, riflettere sulle idee che hanno invaso la mente e la possiedono.
Si sente spesso dire che le ideologie sono morte, in realtà ne è rimasta una sola, quella che Pierre Bourdieu ha definito “pensiero unico”, una ideologia della privatizzazione per cui ciò che accade a ogni singolo individuo dipende dalla sua personale scelta e il mancato riconoscimento sociale deriva dalla sua inadeguatezza. Come dice Habermas: “Si vede oggi la tendenza di una società sempre meno solidale che spinge ad accettare come normale e ovvio un egoismo razionalista che con gli imperativi del mercato è penetrato fin dentro i pori di un ambiente di vita colonizzato”.¹
Esistono però dei tentativi che vanno in un’altra direzione. Partendo dalla consapevolezza della complessità e della difficoltà del compito, un grande psicologo come il prof. Mario Bertini si è dedicato negli ultimi anni alla critica del modello malattia e alla promozione della salute. Salute intesa non soltanto come assenza di malattia, ma come stato di benessere fisico, psichico, sociale e spirituale.
É un vero e proprio cambiamento di paradigma che chiama in causa medici, psicologi, politici, economisti e filosofi. Non basta un aumento del PIL per stare bene perché, come sottolinea Gadamer, “la salute non è semplicemente un sentirsi, ma un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme agli altri uomini ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai compiti particolari della vita”.² La parola “terapia” nel lessico di Bertini è sostituita da “promozione delle risorse”. Il lessico è importante (le parole danno forma al nostro mondo) e in questo caso la parola indica che occorre focalizzare l'attenzione non sul problema, ma sulle potenzialità della persona. Promuovere significa “muovere verso” e contiene il concetto di sviluppo e relazionalità.
La psicologia, nata dalla filosofia, per acquisire uno statuto scientifico si è avvicinata alla medicina, intesa, in Occidente, come cura delle malattie e ne è stata profondamente influenzata. Il modello terapeutico, che sottende che c’è qualcosa di patologico da correggere, è prevalso e ha invaso ogni campo.
Per percorrere la strada della salute, Bertini suggerisce un’apertura di dialogo della psicologia con le scienze umane e in particolare con la filosofia, perché la salute positiva non è solo una questione medica, è soprattutto una questione filosofica. Il pensiero filosofico che attraversa la storia dell’umanità è “una fonte indispensabile di ispirazione per chi voglia individuare le tracce della good life”.³
Anna Colaiacovo
¹ | J. Habermas, La Repubblica, 27/12/2010 |
² | Hans-Georg Gadamer, Cortina, 1993, pag. 122 |
³ | M. Bertini, Psicologia della salute, Cortina, 2012, pag. 364 |
Grazie per la condivisione di queste considerazioni, assai interessanti.
RispondiEliminaNe sono felice, Maria. Mi auguro che riescano a mettere in movimento idee consolidate e a suscitare il dialogo.
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