Mickey (Justin Timberlake), Ginny (Kate Winslet, al centro) e Carolina (Juno Temple) sul set di "Wonder Wheel" (La Ruota delle Meraviglie), di Woody Allen. |
Un interessante contributo
del collega consulente filosofico Antonio Carnicella
Era l’ultimo posto in cui avrei immaginato d’incontrare un collega, al cinema. E non nel cinema, come uno spettatore qualunque, ma proprio sul grande schermo, incarnato da un attore e nel pieno esercizio delle sue funzioni professionali. Che sorpresa. Magari lui non sa di essere un consulente filosofico, ma in quanto filosofo è chiamato in causa da Mickey, voce narrante e co-protagonista di "Wonder Wheel" (La ruota delle meraviglie), l’ultimo film di Woody Allen, alle prese con una scelta complicata.
Sulla spiaggia di Coney Island, nel secondo dopoguerra, l’ex marine e aspirante drammaturgo si guadagna da vivere come marinaio di salvataggio, lavoro che l’ha abituato a guardare dall’alto del suo seggiolone i destini umani. Ma da lassù il Caso, gran cerimoniere di fortune che vanno e vengono come la grande ruota che domina la spiaggia, lo fa cedere al centro di un triangolo sentimentale presentandogli prima Ginny, quarantenne in crisi esistenziale di cui diviene ben presto l’amante, quindi la figliastra di lei, Carolina, di cui s’innamora. Preso tra la passione per la matura ex attrice, cui ha promesso un’altra vita nei mari tropicali, e l’attrazione per la sensuale giovane in fuga dal marito boss della mafia, Mickey capisce che da solo non riesce a tradurre i “geroglifici” attraverso i quali si esprime il suo cuore. Quale delle due donne riportare in salvo? E' qui che entra in ballo l’amico filosofo. I due s’incontrano una sola volta (per esigenze di copione vorremmo dire) ma è risolutiva, tanto che al termine la voce fuori campo del giovane afferma: “è incredibile come guardare le cose da un diverso punto di vista ti faccia stare meglio”.
Sulla spiaggia di Coney Island, nel secondo dopoguerra, l’ex marine e aspirante drammaturgo si guadagna da vivere come marinaio di salvataggio, lavoro che l’ha abituato a guardare dall’alto del suo seggiolone i destini umani. Ma da lassù il Caso, gran cerimoniere di fortune che vanno e vengono come la grande ruota che domina la spiaggia, lo fa cedere al centro di un triangolo sentimentale presentandogli prima Ginny, quarantenne in crisi esistenziale di cui diviene ben presto l’amante, quindi la figliastra di lei, Carolina, di cui s’innamora. Preso tra la passione per la matura ex attrice, cui ha promesso un’altra vita nei mari tropicali, e l’attrazione per la sensuale giovane in fuga dal marito boss della mafia, Mickey capisce che da solo non riesce a tradurre i “geroglifici” attraverso i quali si esprime il suo cuore. Quale delle due donne riportare in salvo? E' qui che entra in ballo l’amico filosofo. I due s’incontrano una sola volta (per esigenze di copione vorremmo dire) ma è risolutiva, tanto che al termine la voce fuori campo del giovane afferma: “è incredibile come guardare le cose da un diverso punto di vista ti faccia stare meglio”.
A rendere interessante Wonder Wheel per la nostra professione è anche il confronto esplicito che la sceneggiatura lascia emergere tra la figura dello psicanalista e quella del filosofo. Mentre la macchina da presa inquadra quest’ultimo di fronte, impegnato in un bar a discorrere con Mickey di amore ed esistenza, la psicologa cui si rivolge Ginny per calmare le intemperanze del figlio piromane chiude più volte la porta del suo studio in faccia sia allo spettatore che al piccolo incendiario. Tutto ciò può sembrare poco, ma se consideriamo che a metterlo in scena è un autore che per cinquant’anni ha flirtato con la Psicoanalisi, allora sembra, in primo luogo, che il messaggio lanciato da Achenbach cominci a diffondersi, quindi che anche l’ottantaduenne regista, oggi alle prese con la campagna #metoo, abbia compiuto quella che Davide Miccione designa come “svolta (filosofica) pratica”.
Stefania Bernabeo
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