• Augusto Cavadi •
Segnalare il nuovo libro di un amico è impresa non facile. Già il genere letterario 'recensione' è sospetto: come in un'interminabile partita di giro, il soggetto A recensisce il libro di un amico di B che recensisce il libro di un amico di A che recensisce il libro di B. E B, per chiudere provvisoriamente il cerchio, recensisce il libro che intanto ha pubblicato A (il protagonista iniziale della girandola). Ma anche in assenza di questa danza circolare, come non squalificare a priori le righe dedicate al volume di una persona a cui notoriamente si vuole molto bene e compromettere la propria (sia pur minima) credibilità professionale? Forse esiste una sola misura preventiva: cercare di essere particolarmente rigorosi. Eppure, con tutta la severità possibile, non riesco a omettere che "La svolta pratica. Presupposti, classificazioni e conseguenze" (Algra, Viagrande 2020, pp. 108, euro 10,00), a firma di Davide Miccione, è un libretto prezioso, tra i più intelligenti (e a tratti divertente) fra quanti me ne sono capitati sott'occhio negli ultimi anni.
Innanzitutto: "la svolta pratica" di chi o di che? Della più teorica, e meno pratica, di tutte le discipline: la filosofia (già definita da Aristotele "la più inutile di tutte le scienze"). A giudizio dell'autore stiamo assistendo, da circa mezzo secolo, a una metamorfosi del pensare filosofico che – afflitto da claustrofobia – vuole uscire dal chiuso delle aule scolastiche e universitarie per respirare nei luoghi della sua origine (frequentati ad esempio da Socrate o da Diogene il Cinico): le piazze, le strade, i mercati. Di questa trasformazione (già analizzata dall'autore in Ascetica da tavolo. La svolta pratica della filosofia e il bene comune, edito nel 2012 e riedito nel 2019) si registrano almeno due versioni principali.
La prima, più apparente e più rischiosa, è che la filosofia si banalizzi a chiacchiera da talk show: si riduca a merce insolita per l'industria dello spettacolo (sia in presenza che a distanza telematica). Come si esprime Miccione a proposito di un altro tema, questo genere di divulgazione sta alla filosofia "come la pornografia sta al reale rapporto sessuale" (p. 82). A ben pensarci, un fenomeno non proprio modernissimo: prima il filosofo prostituiva le sue "competenze" a favore dell'imperatore o della gerarchia ecclesiastica o del partito politico più vicino ideologicamente, adesso predilige il mecenate più danaroso (soprattutto se tele-fornito).
In una seconda versione la filosofia perde il pelo dell'aristocraticismo ma non il vizio del rigore logico con cui prova a scovare i presupposti delle convinzioni abituali, osservare le deduzioni più o meno implicite che si traggono da quei presupposti, valutarne gli effetti comportamentali nella sfera privata e pubblica: allo scopo, se necessario, di rivedere criticamente tutto il percorso mentale dai presupposti ai comportamenti passando per il ponte di collegamento delle deduzioni.
Esiste una pratica professionale che consiste nell'esercitare – nel tentare di esercitare – questa valenza 'pratica' del filosofare? Sulla carta, sì: si chiamerebbe "Pratica filosofica" o "consulenza filosofica" (traduzione convenzionale della formula tedesca Philosophiche Praxis coniata da Gerd Achenbach). Ma è una pratica che stenta a decollare, nel mondo, perché pensare, demistificare gli idoli dominanti, mettere seriamente in discussione ciò che ci è stato tramandato come ovvio... sono operazioni intellettuali che comportano fatica, soprattutto se non si accetta la separazione sistematica fra il piano delle idee e il piano dei sentimenti e delle azioni. Da qui la predilezione (da parte della società ma anche dei laureati in filosofia) verso altre professioni – la sterminata foresta di counseling aggettivati: psicologico, pedagogico, religioso... - dove tu paghi e ricevi, prêt-à-porter, il consiglio 'giusto', la ricetta 'vincente'. Esiste anche il counseling filosofico, parente povero o controfigura della "consulenza filosofica", nel quale non è in gioco il "filosofare" (come "processo" che coinvolge consultante e consulente in un dialogo senza paletti pregiudiziali di nessun genere), ma il "filosofato" (il "prodotto" del filosofare di Platone o di Marx, magari ridotto in "pillole" da prescrivere al posto del Prozac). Evidenziare alcuni fra i mille aspetti in cui counseling filosofico (come relazione di "aiuto") e consulenza filosofica (come "relazione intersoggettiva" fra pensanti con lo scopo di chiarire una questione 'obiettiva' che il consultante avverte come tremendamente 'soggettiva') differiscono fra loro può considerarsi, a mio avviso, una chiave di lettura di questo intero volume. A profitto non solo di chi è, o vuol diventare, un consulente filosofico ma anche di chi – occupandosi d'altro nella vita quotidiana – è, o vuole diventare, un consultante filosofico (dunque un 'ospite' o 'interlocutore', non certo 'cliente' né tanto meno 'paziente' di un consulente). Ma con un'avvertenza: questo testo non è tra quei pochi di avviamento al mondo delle pratiche filosofiche che possono andar bene anche a chi è del tutto ignaro della tematica (come, ad esempio, il Consulente filosofico cercasi di Neri Pollastri, edito nel 2007 e riedito nel 2020). E' piuttosto un testo di secondo grado che presuppone un'informazione – almeno basica – di ciò che si è detto e si è scritto sulla consulenza filosofica e dintorni. Chi possiede questa alfabetizzazione elementare, però, vedrà acuirsi la propria capacità di critica e di auto-critica: come in una sorta di consulenza intorno al tema della... consulenza.
Innanzitutto: "la svolta pratica" di chi o di che? Della più teorica, e meno pratica, di tutte le discipline: la filosofia (già definita da Aristotele "la più inutile di tutte le scienze"). A giudizio dell'autore stiamo assistendo, da circa mezzo secolo, a una metamorfosi del pensare filosofico che – afflitto da claustrofobia – vuole uscire dal chiuso delle aule scolastiche e universitarie per respirare nei luoghi della sua origine (frequentati ad esempio da Socrate o da Diogene il Cinico): le piazze, le strade, i mercati. Di questa trasformazione (già analizzata dall'autore in Ascetica da tavolo. La svolta pratica della filosofia e il bene comune, edito nel 2012 e riedito nel 2019) si registrano almeno due versioni principali.
La prima, più apparente e più rischiosa, è che la filosofia si banalizzi a chiacchiera da talk show: si riduca a merce insolita per l'industria dello spettacolo (sia in presenza che a distanza telematica). Come si esprime Miccione a proposito di un altro tema, questo genere di divulgazione sta alla filosofia "come la pornografia sta al reale rapporto sessuale" (p. 82). A ben pensarci, un fenomeno non proprio modernissimo: prima il filosofo prostituiva le sue "competenze" a favore dell'imperatore o della gerarchia ecclesiastica o del partito politico più vicino ideologicamente, adesso predilige il mecenate più danaroso (soprattutto se tele-fornito).
In una seconda versione la filosofia perde il pelo dell'aristocraticismo ma non il vizio del rigore logico con cui prova a scovare i presupposti delle convinzioni abituali, osservare le deduzioni più o meno implicite che si traggono da quei presupposti, valutarne gli effetti comportamentali nella sfera privata e pubblica: allo scopo, se necessario, di rivedere criticamente tutto il percorso mentale dai presupposti ai comportamenti passando per il ponte di collegamento delle deduzioni.
Esiste una pratica professionale che consiste nell'esercitare – nel tentare di esercitare – questa valenza 'pratica' del filosofare? Sulla carta, sì: si chiamerebbe "Pratica filosofica" o "consulenza filosofica" (traduzione convenzionale della formula tedesca Philosophiche Praxis coniata da Gerd Achenbach). Ma è una pratica che stenta a decollare, nel mondo, perché pensare, demistificare gli idoli dominanti, mettere seriamente in discussione ciò che ci è stato tramandato come ovvio... sono operazioni intellettuali che comportano fatica, soprattutto se non si accetta la separazione sistematica fra il piano delle idee e il piano dei sentimenti e delle azioni. Da qui la predilezione (da parte della società ma anche dei laureati in filosofia) verso altre professioni – la sterminata foresta di counseling aggettivati: psicologico, pedagogico, religioso... - dove tu paghi e ricevi, prêt-à-porter, il consiglio 'giusto', la ricetta 'vincente'. Esiste anche il counseling filosofico, parente povero o controfigura della "consulenza filosofica", nel quale non è in gioco il "filosofare" (come "processo" che coinvolge consultante e consulente in un dialogo senza paletti pregiudiziali di nessun genere), ma il "filosofato" (il "prodotto" del filosofare di Platone o di Marx, magari ridotto in "pillole" da prescrivere al posto del Prozac). Evidenziare alcuni fra i mille aspetti in cui counseling filosofico (come relazione di "aiuto") e consulenza filosofica (come "relazione intersoggettiva" fra pensanti con lo scopo di chiarire una questione 'obiettiva' che il consultante avverte come tremendamente 'soggettiva') differiscono fra loro può considerarsi, a mio avviso, una chiave di lettura di questo intero volume. A profitto non solo di chi è, o vuol diventare, un consulente filosofico ma anche di chi – occupandosi d'altro nella vita quotidiana – è, o vuole diventare, un consultante filosofico (dunque un 'ospite' o 'interlocutore', non certo 'cliente' né tanto meno 'paziente' di un consulente). Ma con un'avvertenza: questo testo non è tra quei pochi di avviamento al mondo delle pratiche filosofiche che possono andar bene anche a chi è del tutto ignaro della tematica (come, ad esempio, il Consulente filosofico cercasi di Neri Pollastri, edito nel 2007 e riedito nel 2020). E' piuttosto un testo di secondo grado che presuppone un'informazione – almeno basica – di ciò che si è detto e si è scritto sulla consulenza filosofica e dintorni. Chi possiede questa alfabetizzazione elementare, però, vedrà acuirsi la propria capacità di critica e di auto-critica: come in una sorta di consulenza intorno al tema della... consulenza.
Augusto Cavadi
Da: Zerozeronews
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