• Anna Colaiacovo •
La fase storica che stiamo vivendo è drammatica. Tra pandemia, disastri climatici, guerre, crisi economiche e minaccia nucleare navighiamo a vista in un mare di incertezze. Abbiamo estremo bisogno di sguardi critici sul presente che siano in grado di offrirci chiavi di lettura e indicazioni su come affrontare le sfide del nostro tempo. Per fortuna ci sono libri che rispondono a tale esigenza. Tra questi, ne ho incontrati tre molto diversi tra loro che hanno in comune una riflessione sul pensiero. Un pensiero che è oggi incapace di cogliere ciò che accade nel mondo o perché ancorato a modelli superati o perché modificato dalle nuove tecnologie.
Il primo testo è l’opuscolo citato da Augusto Cavadi nel suo ultimo post: "Svegliamoci!" (Mimesis, Milano–Udine 2022). Morin è un grande vecchio che non ha mai smesso di indagare il presente con lucidità e passione. Filosofo della complessità, ritiene - come ha messo in rilievo Augusto - che la crisi che stiamo vivendo sia innanzitutto una crisi del pensiero. Un pensiero unilaterale, semplificatorio, incapace di cogliere la complessità della crisi stessa che è ecologica, economica e antropologica. L’essere umano vive di contraddizioni, ma continua a pensare secondo una modalità che esclude le contraddizioni. Da qui la difficoltà a comprendere ciò che caratterizza il nostro tempo: la compresenza di grandi progressi sul piano materiale e di grandi rischi legati a questi stessi progressi. Abbiamo idolatrato lo sviluppo, ma proprio lo sviluppo indiscriminato, orientato al profitto, ha portato alla crisi ecologica planetaria. Oggi ci troviamo di fronte alla necessità di fermare la crescita per poter salvare l’umanità. Occorre una “politica che assicuri la decrescita di tutto ciò che inquina e la crescita di tutto ciò che salvaguarda e rigenera” (p. 46). Una politica che dovrebbe riguardare l’intero globo terrestre, la nostra casa comune. E, invece, assistiamo al proliferare di nazionalismi e di ripiegamenti identitari. Il vero problema, oggi, è dominare il sogno di dominio sull’ambiente e sul diverso da noi, e rafforzare le relazioni umane.
Il virus “in una manciata di mesi ha imposto al pianeta un nuovo universalismo di fronte al quale tutte le strutture politiche della modernità appaiono obsolete (…) Anche la nozione di specie andrebbe ripensata e messa da parte. Dopo esserci fatti la guerra per le più piccole differenze, ci troviamo schiacciati dall’evidenza di una comunità di carne senza proprietà e con mille identità simultanee, che vuole solo una cosa: la pace della carne, la pace nella carne. La politica del futuro non può che partire da qui.” Così scrive Emanuele Coccia (in "Metamorfosi - Siamo un'unica, sola vita", Einaudi, Torino 2022 pp. 7-8). Occorre passare da un sapere che classifica e distingue a un sapere che individua nella metamorfosi l’essenza della vita. Qualsiasi forma di vita non è altro che trasformazione continua, in relazione con una molteplicità di altre forme. Fin dalla nascita, portiamo dentro di noi i nostri genitori, i nostri antenati, ma anche pesci, batteri, ossigeno, idrogeno etc. In natura nulla è riconducibile a una identità precisa, il discorso identitario è un inganno. Attraverso l’atto del mangiare travasiamo la vita di altri nella nostra e in questo modo dimostriamo che c’è una sola vita, comune a tutti gli esseri viventi. E la madre di tutti è Gaia, la Terra. Se apriamo gli occhi e la mente sul mondo intorno a noi e su noi stessi non possiamo non ammettere che “la Terra è un immenso bozzolo al cui interno tutte le forme si sono generate” (p. 85).
Il progresso sul piano materiale è strettamente collegato con lo sviluppo tecnologico. L’innovazione tecnologica indubbiamente porta alla soluzione di problemi, ma da essa nascono nuovi problemi sia perché la tecnologia è al servizio di modelli capitalistici finalizzati al profitto, sia perché è usata da utilizzatori spesso privi di consapevolezza. Secondo Byung-chul Han, filosofo di origine coreana molto attento alle problematiche del nostro tempo, la digitalizzazione sta cambiando il nostro modo di vivere il reale. Derealizza il mondo, lo disincarna e lo informatizza. Siamo diventati tutti infomani: “Non sono più gli oggetti, bensì le informazioni a predisporre il mondo in cui viviamo. Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud.” ("Le non cose - Come abbiamo smesso di vivere il reale", Einaudi, Torino 2022). Inoltre l’eccesso di informazioni annulla la differenza tra vero e falso, sostituisce la verità con l’efficacia e non produce alcun sapere. I media digitali immagazzinano dati che rimangono sempre uguali, mentre la memoria umana, di tipo narrativo, li elabora e li trasforma. L’oggetto devozionale del regime neoliberista è, secondo Byung Chul Han, lo smartphone, un rosario digitale. Facebook e Google sono i nuovi feudatari. Ci fanno sentire liberi, mentre siamo in realtà sorvegliati e sfruttati. Lo smartphone potenzia l’autoreferenzialità, crea il mondo in forma digitale, ci inonda di stimoli, ci permette di comunicare incessantemente con gli altri, ma ci rende sempre più soli. La scomparsa dell’altro è un evento tragico perché, mentre l’intelligenza artificiale è apatica, il pensiero umano è un processo analogico che ha bisogno di eros, dell’aspetto emotivo: “Dell’intelligenza macchinica emerge soprattutto il pericolo che il pensiero umano le si allinei diventando a sua volta macchinico” (p. 56).
Edgar Morin, Svegliamoci! Mimesis, Milano–Udine 2022 |
Il primo testo è l’opuscolo citato da Augusto Cavadi nel suo ultimo post: "Svegliamoci!" (Mimesis, Milano–Udine 2022). Morin è un grande vecchio che non ha mai smesso di indagare il presente con lucidità e passione. Filosofo della complessità, ritiene - come ha messo in rilievo Augusto - che la crisi che stiamo vivendo sia innanzitutto una crisi del pensiero. Un pensiero unilaterale, semplificatorio, incapace di cogliere la complessità della crisi stessa che è ecologica, economica e antropologica. L’essere umano vive di contraddizioni, ma continua a pensare secondo una modalità che esclude le contraddizioni. Da qui la difficoltà a comprendere ciò che caratterizza il nostro tempo: la compresenza di grandi progressi sul piano materiale e di grandi rischi legati a questi stessi progressi. Abbiamo idolatrato lo sviluppo, ma proprio lo sviluppo indiscriminato, orientato al profitto, ha portato alla crisi ecologica planetaria. Oggi ci troviamo di fronte alla necessità di fermare la crescita per poter salvare l’umanità. Occorre una “politica che assicuri la decrescita di tutto ciò che inquina e la crescita di tutto ciò che salvaguarda e rigenera” (p. 46). Una politica che dovrebbe riguardare l’intero globo terrestre, la nostra casa comune. E, invece, assistiamo al proliferare di nazionalismi e di ripiegamenti identitari. Il vero problema, oggi, è dominare il sogno di dominio sull’ambiente e sul diverso da noi, e rafforzare le relazioni umane.
Emanuele Coccia, Metamorfosi. Siamo un'unica, sola vita. Einaudi, Torino 2022 |
Il virus “in una manciata di mesi ha imposto al pianeta un nuovo universalismo di fronte al quale tutte le strutture politiche della modernità appaiono obsolete (…) Anche la nozione di specie andrebbe ripensata e messa da parte. Dopo esserci fatti la guerra per le più piccole differenze, ci troviamo schiacciati dall’evidenza di una comunità di carne senza proprietà e con mille identità simultanee, che vuole solo una cosa: la pace della carne, la pace nella carne. La politica del futuro non può che partire da qui.” Così scrive Emanuele Coccia (in "Metamorfosi - Siamo un'unica, sola vita", Einaudi, Torino 2022 pp. 7-8). Occorre passare da un sapere che classifica e distingue a un sapere che individua nella metamorfosi l’essenza della vita. Qualsiasi forma di vita non è altro che trasformazione continua, in relazione con una molteplicità di altre forme. Fin dalla nascita, portiamo dentro di noi i nostri genitori, i nostri antenati, ma anche pesci, batteri, ossigeno, idrogeno etc. In natura nulla è riconducibile a una identità precisa, il discorso identitario è un inganno. Attraverso l’atto del mangiare travasiamo la vita di altri nella nostra e in questo modo dimostriamo che c’è una sola vita, comune a tutti gli esseri viventi. E la madre di tutti è Gaia, la Terra. Se apriamo gli occhi e la mente sul mondo intorno a noi e su noi stessi non possiamo non ammettere che “la Terra è un immenso bozzolo al cui interno tutte le forme si sono generate” (p. 85).
Byung-chul Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale. Einaudi, Torino 2022 |
Il progresso sul piano materiale è strettamente collegato con lo sviluppo tecnologico. L’innovazione tecnologica indubbiamente porta alla soluzione di problemi, ma da essa nascono nuovi problemi sia perché la tecnologia è al servizio di modelli capitalistici finalizzati al profitto, sia perché è usata da utilizzatori spesso privi di consapevolezza. Secondo Byung-chul Han, filosofo di origine coreana molto attento alle problematiche del nostro tempo, la digitalizzazione sta cambiando il nostro modo di vivere il reale. Derealizza il mondo, lo disincarna e lo informatizza. Siamo diventati tutti infomani: “Non sono più gli oggetti, bensì le informazioni a predisporre il mondo in cui viviamo. Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud.” ("Le non cose - Come abbiamo smesso di vivere il reale", Einaudi, Torino 2022). Inoltre l’eccesso di informazioni annulla la differenza tra vero e falso, sostituisce la verità con l’efficacia e non produce alcun sapere. I media digitali immagazzinano dati che rimangono sempre uguali, mentre la memoria umana, di tipo narrativo, li elabora e li trasforma. L’oggetto devozionale del regime neoliberista è, secondo Byung Chul Han, lo smartphone, un rosario digitale. Facebook e Google sono i nuovi feudatari. Ci fanno sentire liberi, mentre siamo in realtà sorvegliati e sfruttati. Lo smartphone potenzia l’autoreferenzialità, crea il mondo in forma digitale, ci inonda di stimoli, ci permette di comunicare incessantemente con gli altri, ma ci rende sempre più soli. La scomparsa dell’altro è un evento tragico perché, mentre l’intelligenza artificiale è apatica, il pensiero umano è un processo analogico che ha bisogno di eros, dell’aspetto emotivo: “Dell’intelligenza macchinica emerge soprattutto il pericolo che il pensiero umano le si allinei diventando a sua volta macchinico” (p. 56).
Anna Colaiacovo
Nessun commento:
Posta un commento