• Augusto Cavadi •
Almeno dal 1776 (anno in cui, nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, all’articolo 1, la felicità è stata qualificata come un “diritto innato e inalienabile”), si sono moltiplicati i corsi, i seminari, le conferenze, i manuali su come raggiungere la felicità.
A tanto investimento intellettuale non pare abbiano corrisposto risultati proporzionati. Anzi, per dirla con franchezza: la felicità, negli spazi individuali e ancor più nei collettivi, scarseggia. Che non ci sia, allora, qualche errore d’impostazione?
Innanzitutto, probabilmente, non è azzeccato il vocabolo “diritto”. Esso presuppone logicamente un “dovere”: il diritto di un bambino a essere nutrito é correlato al dovere dei genitori di nutrirlo così come il diritto di un dipendente a un equo salario è correlato al dovere di un datore di lavoro di pagarlo. Ma chi ha il “dovere” di renderci felici? La società, la natura, Dio, la sorte, lo Stato?
Allora dovremmo essere più precisi: ogni essere umano ha il diritto di non essere impedito nella sua ricerca della felicità o, al massimo, di essere favorito nella sua ricerca della felicità.
A tanto investimento intellettuale non pare abbiano corrisposto risultati proporzionati. Anzi, per dirla con franchezza: la felicità, negli spazi individuali e ancor più nei collettivi, scarseggia. Che non ci sia, allora, qualche errore d’impostazione?
Innanzitutto, probabilmente, non è azzeccato il vocabolo “diritto”. Esso presuppone logicamente un “dovere”: il diritto di un bambino a essere nutrito é correlato al dovere dei genitori di nutrirlo così come il diritto di un dipendente a un equo salario è correlato al dovere di un datore di lavoro di pagarlo. Ma chi ha il “dovere” di renderci felici? La società, la natura, Dio, la sorte, lo Stato?
Allora dovremmo essere più precisi: ogni essere umano ha il diritto di non essere impedito nella sua ricerca della felicità o, al massimo, di essere favorito nella sua ricerca della felicità.
La “palla” viene gettata dal campo avversario al nostro: siamo noi che dobbiamo fare i conti con la felicità. E, come primo passo, dobbiamo chiederci che cosa essa sia per noi.
Sulla scia di Aristotele, con discreta approssimazione, la si potrebbe considerare il combinato disposto o – in termini più facili – la somma, di vari fattori:
• una salute discreta (senza malformazioni genetiche né acciacchi sopravvenuti dopo la nascita)
• una condizione economica né misera né molto più alta del necessario (dal momento che la ricchezza, ereditata o raggiunta, va conservata solo a costo di attenzioni, cautele e fatiche)
• un’intelligenza sufficiente a capire le cose essenziali della vita, dunque non puramente astratta ma anche pratica (qualità, osservava con ironia Cartesio, che tutti quanti riceviamo in dote dal momento che ci lamentiamo di essere poco prestanti fisicamente o poco ricchi economicamente, ma mai poco dotati intellettualmente)
• un’esperienza dell’amore erotico proporzionata alla nostra età fisica e mentale (o almeno un ricordo abbastanza vivo e grato di tale esperienza)
• un’esperienza gratificante dell’amore di amicizia: non necessariamente con molte persone (il che sarebbe un po’ sospetto), ma almeno con alcune (a cominciare da qualche membro della famiglia d’origine, dalla compagna, dai figli)
• un’esperienza d’amore di benevolenza gratuita, di auto-donazione senza previsione, né ancor meno pretesa, di ricambio...
Sulla scia di Aristotele, con discreta approssimazione, la si potrebbe considerare il combinato disposto o – in termini più facili – la somma, di vari fattori:
• una salute discreta (senza malformazioni genetiche né acciacchi sopravvenuti dopo la nascita)
• una condizione economica né misera né molto più alta del necessario (dal momento che la ricchezza, ereditata o raggiunta, va conservata solo a costo di attenzioni, cautele e fatiche)
• un’intelligenza sufficiente a capire le cose essenziali della vita, dunque non puramente astratta ma anche pratica (qualità, osservava con ironia Cartesio, che tutti quanti riceviamo in dote dal momento che ci lamentiamo di essere poco prestanti fisicamente o poco ricchi economicamente, ma mai poco dotati intellettualmente)
• un’esperienza dell’amore erotico proporzionata alla nostra età fisica e mentale (o almeno un ricordo abbastanza vivo e grato di tale esperienza)
• un’esperienza gratificante dell’amore di amicizia: non necessariamente con molte persone (il che sarebbe un po’ sospetto), ma almeno con alcune (a cominciare da qualche membro della famiglia d’origine, dalla compagna, dai figli)
• un’esperienza d’amore di benevolenza gratuita, di auto-donazione senza previsione, né ancor meno pretesa, di ricambio...
Ebbene se la felicità fosse – come suppongo – la sommatoria di questi elementi, chi può essere così ingenuo da supporre che dipenda da noi raggiungerla o meno?
Dovremmo essere più realistici e più modesti: la felicità – quegli sprazzi di felicità che possiamo sperimentare in questa vita travagliata, costellata da tante sofferenze nostre o altrui (quelle altrui possono non scalfire la nostra solo se siamo davvero insensibili come pietre) – può solo sorprenderci: non è la méta certa di un nostro procedere retto.
Allora direi che sia più saggio perseguire non tanto direttamente la felicità, bensì la condizione esistenziale di essere in grado di accoglierla nel caso in cui essa – per una molteplicità di fattori quasi tutti indipendenti da noi – voglia visitarci, sia pure parzialmente ed episodicamente.
Dovremmo essere più realistici e più modesti: la felicità – quegli sprazzi di felicità che possiamo sperimentare in questa vita travagliata, costellata da tante sofferenze nostre o altrui (quelle altrui possono non scalfire la nostra solo se siamo davvero insensibili come pietre) – può solo sorprenderci: non è la méta certa di un nostro procedere retto.
Allora direi che sia più saggio perseguire non tanto direttamente la felicità, bensì la condizione esistenziale di essere in grado di accoglierla nel caso in cui essa – per una molteplicità di fattori quasi tutti indipendenti da noi – voglia visitarci, sia pure parzialmente ed episodicamente.
Augusto Cavadi
Illustrazioni di Alex Rokita
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