Sin dalle prime righe si coglie la ragione per cui all’autore l’impresa, per quanto ardua, risulta possibile: “il tempo è la realtà stessa che rende l’universo da noi conosciuto un’indissolubile unità dentro la quale tutto è legato a tutto” (p. 30). Heideggerianamente, per Biuso indagare il Sein equivale indagare lo Zeit. Ma procediamo un po’ analiticamente.
Nel primo capitolo (Teoresi) l’autore esplicita il proprio punto di vista privilegiato e lo fa inspirandosi soprattutto alla fenomenologia di Husserl, “lo sforzo più intenso che la filosofia ha compiuto dopo Agostino di comprendere il tempo, la sua struttura, la sua funzione, l’identità e la differenza che lo costituiscono” (p. 28): “la teoresi filosofica non è ricostruzione storico/storiografica del pensato; non è espressione di visioni del mondo, strutture sociologiche, mentalità diffuse; non è neppure una sintesi unificatrice delle scienze della natura e dell’uomo, né allo scopo di porsi al di sopra di esse né per tentare maldestramente e vanamente di imitarle. La filosofia è qualcosa di primo e di ultimo. Primo perché fondata sulla finitudine costitutiva dell’ente che pensa. Ultimo perché è il luogo delle risposte più radicali ed estreme, le ultime che sia possibile tentare” (p. 15).
Nel secondo capitolo (Filosofia), ancora una volta con Husserl quale guida, Biuso prova a superare vari dualismi, tra i quali l’alternativa “realismo” o “idealismo”: “Ogni ente ed evento è impregnato di teoria e le teorie esistono sul fondamento degli enti e degli eventi. La coscienza e l’atto intenzionali non creano nulla che non sia già dato (sintesi passiva) ma costituiscono la condizione affinché un mondo possa darsi alla coscienza (sintesi attiva)” (p. 33).
Il terzo capitolo (Fisica) ha di mira, principalmente, il dogma (perdurante dal meccanicismo galileiano alla teoria della relatività di Einstein) della reversibilità dei fenomeni fisici: il secondo principio della termodinamica, invece, individuando “nell’entropia una delle dinamiche fondamentali delle quali la materia è composta e attraversata” (p. 45), per ciò stesso afferma la irreversibilità di ciò che accade nell’universo. In altre parole, “ciò che è accaduto non può riavvolgersi per tornare all’inizio del proprio accadere, esattamente perché gli stati di disordine sono molto più probabili degli stati originari di ordine” (p. 48).
Nel quarto capitolo (Antropologia) “il tempo fisico della natura” viene riconosciuto nella sua convergenza con “il tempocorpo delle percezioni e il tempomente dell’esperienza consapevole”: una convergenza che produce in ciascuno di noi “la sensazione di essere dentro il tempo” (p. 73). Tale sensazione non sarebbe possibile senza la facoltà della “memoria” che, insieme a “attenzione, emozione, slancio verso il futuro prossimo e lontano”, costituisce “la vita della mente, la cui dimensione temporale fa sì che il tempo sia una costruzione insieme psichica, biologica e sociale” (pp. 73-74). E’ in questa sezione del saggio che ho trovato gli spunti più originali, per esempio - ma è solo uno dei tanti possibili - la sottolineatura del “declino della memoria attraverso gli strumenti che la costituiscono in ogni occasione e circostanza – gli strumenti offerti dalla Rete – ” che “rischia di impoverire l’immaginazione e rendere pallido il futuro” (p. 76).
Un penultimo capitolo è dedicato all’Estetica: vi si ritrovano indicazioni da varie fonti quali la cultura giapponese e la Recerche di Proust, opera che “fa splendere la parola nel tempo e il tempo nella parola” (p. 95).
Il sesto e ultimo capitolo (Metafisica) riprende e suggella molti motivi delle pagine precedenti. Precisato che la metafisica “non è una sovrastruttura ma costituisce l’indagine più radicale e insieme la conformazione più profonda della infrastruttura che chiamiamo mondo” (p. 104), Biuso sostiene: “la metafisica vuol dire un’indagine sull’essere-tempo. Il tempo è arché proprio perché è causa, principio e limite. E’ ciò da cui gli eventi nascono non nel senso estrinseco di un ‘prima di’ ma nel senso che nel loro esistere e accadere gli eventi sono tempo in atto, nel senso che il tempo è la forma di ogni possibile ente, evento, processo” (p. 103).
Sin qui, ridotto all’osso, il testo di Biuso. Istruttivo e suggestivo certamente; anche convincente? Personalmente risponderei: non al cento per cento. Per formulare, altrettanto e anzi ancor più sinteticamente, le mie perplessità teoretiche mi concentrerei su due punti (per altro cruciali). Il primo: hanno ragione i pensatori come Bergson, Husserl, Heidegger, Vattimo che (con sfumature differenti da un caso all’altro) identificano essere e tempo? O non sarebbe più preciso affermare che il tempo è una dimensione, un aspetto, una valenza dell’essere? Qualcosa esiste perché è temporale o è temporale perché esiste? In più punti Biuso fa valere l’equivalenza di “tempo” e “divenire”. Se l’accettiamo (almeno provvisoriamente, a scopo dialogico) la domanda diventa: hanno ragione i pensatori come Eraclito, Hegel, Marx che (con sfumature differenti da un caso all’altro) identificano essere e divenire? O non sarebbe più preciso affermare che il divenire è una dimensione, un aspetto, una valenza dell’essere? Qualcosa esiste perché diviene o diviene perché esiste?
Intendiamoci: non si tratta di sfuggire all’impermanenza radicale dell’universo esperibile lasciandosi schiacciare su posizioni parmenidee (o neoparmenidee alla Severino). Il tempo-divenire è indubbiamente un volto costante dell’universo materico: ma il mio volto è la mia essenza, la mia sostanza, il ciò per cui sono e non sarei?
La discussione può sembrare sottile, ma in realtà comporta una posta non proprio secondaria. Se l’essere fosse intrinsecamente temporale sarebbe impensabile la sola ipotesi di una sfera dell’essere a-temporale: il regno dell’immanenza gnoseologica, del fenomenico, del materico sarebbe non solo (come è) l’unico certo, ma anche (come non ritengo si possa affermare) l’unico possibile. Su questo punto Biuso non è disposto a concedere nulla: “la materia è senza un inizio e senza una fine; la materia è l’Intero” (p. 54). Se non li interpreto male, Kant, Bergson (l’ultimo), Wittgenstein (il secondo) sarebbero disposti a darmi qualche ragione: la materia è certamente reale, ma non altrettanto certamente è l’unica valenza della realtà. Senza considerare che, alla luce delle teorie fisiche contemporanee, la nozione stessa di materia esige d’essere rivista: sembrerebbe sempre meno ‘dura’, opaca, passiva e sempre più fluida, energica, zampillante. Dunque sempre più difficilmente distinguibile da ciò che abbiamo imparato a chiamare forma, atto, energia, anima, spirito.
La domanda sul tempo, quindi, ne apre numerose altre: e merito non trascurabile della monografia di Alberto G. Biuso è di non aver temuto di aprirle per gettarvi uno sguardo indagatore.
Augusto Cavadi, “Comunicazione filosofica” n. 37 - Nov. 2016
Caro Augusto, fermo con qualche certezza alla percezione empirica dell’ente tempo, necessariamente prodotta dal relazionarsi tra, almeno, due enti dei quali, almeno uno, soggetto capace di avvertirla, la tua recensione mi ha stimolato ad andare più in là e si sono presentate così tante domande (tra queste: divenire e accadere sono sinonimi?), categorie, livelli e complessità quanti ne contiene il vivere e l’universo. Ci sono molteplici punti di partenza per indagare la realtà, ma quello del tempo è probabilmente, seppur articolatissimo e difficoltoso, tra i più efficaci. Libro ordinato, tempi di attesa con IBS tre settimane: quanto “tempo”!
RispondiElimina“il tempo è la realtà stessa che rende l’universo da noi conosciuto un’indissolubile unità dentro la quale tutto è legato a tutto” Ma, mi chiedo: ci voleva tutto uel bordello di paroloni incomprensibili alla massa ignorante alla uale appartengo,per definire una realtà che fa parte di noi? Dobbiamo, necessariamente, diventare tutti filosofi per gustare un po di ueste leccornie della mente? Caro Augusto, abbiate pietà e siate più elementari possibili. Per favore! Ti abbraccio Davide Giann0
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