Monte Morrone, nel cuore del Parco Nazionale della Majella (Abruzzo), devastato nell’estate 2017 da numerosi incendi dolosi |
Per tanti aspetti è vera l’affermazione che la nostra cultura ha radici nel mondo greco. Non lo è però per quanto riguarda il nostro rapporto con la natura. La mitologia greca, che fa scaturire le entità primordiali, in primo luogo Gea, dal Caos, attribuisce alla natura caratteri sacri e colloca l’uomo all’interno di un ordine cosmico regolato da leggi eterne: ogni elemento della realtà ha una sua funzione e un suo posto preciso nel cosmo. L’equilibrio che ne scaturisce però è precario, le forze del caos possono risorgere sempre. Per questo l’errore più grande agli occhi dei greci è la hybris (tracotanza, arroganza) che induce gli uomini a non saper restare al proprio posto all’interno del cosmo. La frase più celebre di tutta la cultura greca è ‘Conosci te stesso’. Accanto ad essa, sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, ce n’era un’altra: ‘Nulla di troppo’. Che cosa significa? Che, per quanto riguarda l’essere umano, occorre conoscere la propria natura ovvero i propri limiti e le proprie possibilità, perché il limite non è inscritto nella natura umana, e allora va continuamente cercato, ma sempre nel rispetto di una natura considerata dai greci sacra e inviolabile.
Questa visione del cosmo come armonia (precaria) e dell’uomo che è inscritto nell’ordine del mondo e ne deve rispettare le regole, pena la furia degli dei (ricordiamo il grande mito di Prometeo), cambia con la concezione ebraico-cristiana che pone l’uomo al vertice del creato e la natura al suo servizio.
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.¹
Nella storia del cristianesimo soltanto Francesco d’Assisi dimostra, con le parole e con gli atti, di amare in maniera incondizionata la natura e di sentire un profondo senso di fratellanza nei confronti di tutte il creature. Ma la direzione indicata da Francesco per un lungo periodo non ha avuto fortuna, mentre si è affermato l’antropocentrismo, che, sostenendo la superiorità dell’essere umano (unica creatura dotata di anima rispetto agli altri viventi) ha separato di fatto l’uomo dalla natura e ha preparato il terreno a una visione come quella cartesiana che riduce la natura a res extensa (pura materia retta da leggi meccaniche), territorio in cui l’uomo, con lo sviluppo senza limiti della tecnica, sperimenta la sua potenza.
La conoscenza della natura e la tecnica finiranno con il “renderci quasi signori e padroni della natura”.²
Alla base di questa visione che ha dominato gli ultimi secoli ci sono: l’idea della natura come una grande macchina dalle risorse inesauribili; la convinzione che il benessere sia legato al possesso del maggior numero di ‘cose’; la tendenza a rifiutare ogni limite, anzi l’esortazione ad andare oltre i limiti. La logica sottesa alla cultura del macchinismo è di tipo lineare: ogni problema all’interno di una macchina può essere spiegato e risolto individuando ciò che in alcune sue parti non funziona, a prescindere dal contesto e dall’ambiente circostante.
Oggi, però, sappiamo che il mondo e l’uomo sono organismi complessi e occorre ragionare in termini di sistema, non più di singole parti. Cultura della complessità significa che un insieme è formato di parti totalmente intrecciate tra di loro e che non sono le parti prese in sé ad essere caratterizzanti ma il processo di relazioni che incessantemente si creano tra di esse e ogni intervento su una parte comporta una serie di eventi che presto diventano imprevedibili.
La cultura della complessità però fatica a imporsi. L’artificialità dei nostri modelli di vita ci ha allontanato dai cicli naturali e dalla consapevolezza che risorse per noi essenziali come l’acqua sono esauribili; solo le catastrofi ambientali ci fanno improvvisamente rendere conto della precarietà della nostra condizione e della nostra dipendenza dalla natura di cui non siamo padroni. Per affrontare questi problemi è necessario soprattutto un cambiamento culturale, una consapevolezza dell’essere tutti parte di una casa, la Terra, che mostra segni visibili di grande sofferenza. Una consapevolezza evidente nell'enciclica di Papa Francesco, Laudato si’, che, richiamandosi alla potente figura di Francesco d'Assisi e partendo dalla convinzione che ‘tutto nel mondo è intimamente connesso’, ci invita al rispetto di ogni creatura che abita la nostra casa comune, “sora nostra madre terra”.
Questa visione del cosmo come armonia (precaria) e dell’uomo che è inscritto nell’ordine del mondo e ne deve rispettare le regole, pena la furia degli dei (ricordiamo il grande mito di Prometeo), cambia con la concezione ebraico-cristiana che pone l’uomo al vertice del creato e la natura al suo servizio.
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.¹
Nella storia del cristianesimo soltanto Francesco d’Assisi dimostra, con le parole e con gli atti, di amare in maniera incondizionata la natura e di sentire un profondo senso di fratellanza nei confronti di tutte il creature. Ma la direzione indicata da Francesco per un lungo periodo non ha avuto fortuna, mentre si è affermato l’antropocentrismo, che, sostenendo la superiorità dell’essere umano (unica creatura dotata di anima rispetto agli altri viventi) ha separato di fatto l’uomo dalla natura e ha preparato il terreno a una visione come quella cartesiana che riduce la natura a res extensa (pura materia retta da leggi meccaniche), territorio in cui l’uomo, con lo sviluppo senza limiti della tecnica, sperimenta la sua potenza.
La conoscenza della natura e la tecnica finiranno con il “renderci quasi signori e padroni della natura”.²
Alla base di questa visione che ha dominato gli ultimi secoli ci sono: l’idea della natura come una grande macchina dalle risorse inesauribili; la convinzione che il benessere sia legato al possesso del maggior numero di ‘cose’; la tendenza a rifiutare ogni limite, anzi l’esortazione ad andare oltre i limiti. La logica sottesa alla cultura del macchinismo è di tipo lineare: ogni problema all’interno di una macchina può essere spiegato e risolto individuando ciò che in alcune sue parti non funziona, a prescindere dal contesto e dall’ambiente circostante.
Oggi, però, sappiamo che il mondo e l’uomo sono organismi complessi e occorre ragionare in termini di sistema, non più di singole parti. Cultura della complessità significa che un insieme è formato di parti totalmente intrecciate tra di loro e che non sono le parti prese in sé ad essere caratterizzanti ma il processo di relazioni che incessantemente si creano tra di esse e ogni intervento su una parte comporta una serie di eventi che presto diventano imprevedibili.
La cultura della complessità però fatica a imporsi. L’artificialità dei nostri modelli di vita ci ha allontanato dai cicli naturali e dalla consapevolezza che risorse per noi essenziali come l’acqua sono esauribili; solo le catastrofi ambientali ci fanno improvvisamente rendere conto della precarietà della nostra condizione e della nostra dipendenza dalla natura di cui non siamo padroni. Per affrontare questi problemi è necessario soprattutto un cambiamento culturale, una consapevolezza dell’essere tutti parte di una casa, la Terra, che mostra segni visibili di grande sofferenza. Una consapevolezza evidente nell'enciclica di Papa Francesco, Laudato si’, che, richiamandosi alla potente figura di Francesco d'Assisi e partendo dalla convinzione che ‘tutto nel mondo è intimamente connesso’, ci invita al rispetto di ogni creatura che abita la nostra casa comune, “sora nostra madre terra”.
Anna Colaiacovo
¹ | Genesi 1, 27-28 |
² | Cartesio, Discorso sul metodo, Editori Riuniti, Roma, 1978, pag. 110 |
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