Davide Ubizzo - Esperienze di pratica filosofica per lo sviluppo delle competenze sociali e di cittadinanza attiva
Durante questa estate 2017 ho collaborato con la Cooperativa Sociale Itaca di Pordenone che gestisce i Centri Estivi comunali di Cavallino Treporti e altri servizi sociali nel territorio veneziano dove vivo. Il progetto “Discovery Camp 2017”, attivato tra luglio e agosto, prevedeva diverse attività rivolte ai bambini tra i cinque e i dieci anni d’età: laboratori, giochi, uscite e gite, attività legate alla creatività e alla pittura e feste con le famiglie. La responsabile del progetto, dott. Serafini, memore dei Laboratori e i Caffè filosofici che regolarmente gestisco da alcuni anni (rivolti a giovani e adulti) nel territorio - nell’ambito delle attività culturali programmate dall’amministrazione locale - mi ha proposto di pianificare e gestire attività con i bambini legate al dialogo, alla condivisione e al pensiero critico.
Come docente, educatore e animatore ho avuto spesso la possibilità di sperimentare attività di questo tipo con un approccio metodologico ed educativo/didattico, improntato alla riflessione, alla problematizzazione, allo sviluppo di concetti a partire da termini chiave, all’attenzione alle parole e alla pratica dell’ascolto reciproco; sono attività in apparenza semplici o che potrebbero sembrare banali, che ad un’analisi attenta rivelano piuttosto la loro specifica finalità, indirizzata verso lo sviluppo di quelle competenze sociali e di cittadinanza che a mio avviso la formazione pratico/filosofica è in grado di sviluppare e garantire adeguatamente. Cosa s’intende con competenze sociali e di cittadinanza? Si tratta di quelle competenze specifiche che la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 individua come competenze chiave per l'apprendimento permanente, necessarie ad ogni cittadino per riuscire ad inserirsi con successo all'interno dell'ambito sociale e lavorativo, tra queste appunto le competenze sociali e civiche, ovvero “Agire in modo autonomo e responsabile, conoscendo e osservando regole e norme, con particolare riferimento alla Costituzione. Collaborare e partecipare comprendendo i diversi punti di vista delle persone”. Si tratta delle stesse competenze richiamate dalle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 quando si parla di “Insegnare le regole del vivere e del convivere e di formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente”, a proposito di “nuova cittadinanza”.
Cosa s’intende per formazione pratico/filosofica? In questi ultimi anni sono sorte diverse esperienze di pratica filosofica con i bambini, ognuna con le proprie specificità: dai Ludofilosofici alla Filosofia con i bambini, tutte ugualmente legittime se epistemologicamente giustificate, cioè capaci di “fondare il proprio fare”. Il riferimento principale, e più autorevole, nel lavoro con i bambini è la Philosophy for Children, la cosiddetta P4C, che ha come obiettivo il “filosofare”, “il pensare su…” e quindi le abilità generali di ragionamento che ogni bambino sviluppa per accedere al senso del proprio mondo. La P4C è la pratica filosofica ideata da Matthew Lipman, (nei testi Educare al pensiero, Philosophy in the classroom e altri) pensata per la scuola americana negli anni ’70 del Novecento; essa si pone l’obiettivo di trasformare la classe in comunità di ricerca filosofica. Nelle mie attività la P4C è stata un modello certo, ma non ho la pretesa di replicare tale modello (di cui ho esperienza ma non sono formato a proporre: non intendo quindi affermare di “aver fatto P4C”). Un altro riferimento è Oscar Brenifier che parla di tre dimensioni del filosofare con i bambini, che sono: 1) la dimensione intellettuale, il pensare da sé; 2) la dimensione esistenziale, l’essere se stesso; 3) la dimensione sociale, il pensare con gli altri (cfr. Oscar Brenifier, Filosofare come Socrate, Ipoc 2015). Queste dimensioni comportano: la precisione del pensiero, la consapevolezza, imparare la chiarezza e la coerenza, imparare il confronto con gli atri, saper gestire la problematizzazione, attenersi alle regole. Questo perché ritengo che filosofare con bambini ha senso esclusivamente all’interno di una cornice di riferimento, il gruppo, la classe, e abbia sempre un termine nella vita reale, che coinvolga la vita quotidiana e le esperienze dei bambini stessi. Ho anche in mente quanto scrive Ran Lahav a proposito di Companionship e i concetti base che la ispirano: “The concepts of the profound, the inner dimension, inner attitude, speakinf from, contemplating, giving voice, togheterness, and resonating” - i concetti di profondo, la dimensione interiore, l’attitudine interiore, il parlare da, la contemplazione, il dare voce, la comunanza e il far risuonare (R. Lahav, Handbook of philosophical-contemplative companionship, principles, procedures, exercises - Solfanelli 2016).
Non ho preteso di emulare modelli altrui o assimilare il mio lavoro alla pratica di altri; la mia attività di docente nella scuola primaria, le mie esperienze di animatore, di educatore e di esperto di didattica con disabilità, unite alle competenze di consulente filosofico, mi hanno permesso di elaborare un indirizzo personale, che traduce con i bambini soprattutto le modalità pratiche del Laboratorio filosofico e del Circle Time.
• Il termine Laboratorio Filosofico indica una pratica dialogica di gruppo che trova una sua identità in ciò che scrive Gerd Achenbach, fondatore nel 1980 della Philosophische Praxis: “non si occupa di sistemi filosofici, non costruisce alcuna filosofia, non somministra nessuna opinione filosofica, ma mette il pensiero in movimento: filosofa”. Queste pratiche trovano un riferimento preciso non tanto in un autore più noto o in una corrente specifica di pensiero, ma piuttosto riconoscono il loro “luogo” in una tendenza socratica alla funzione pratica e sociale e quindi politica dell'esercizio della filosofia. Essendo una pratica, il Laboratorio assume la forma della sperimentazione e dell'elaborazione di una metodologia aperta, non ancora decodificata; per questo motivo di volta in volta si reinventa con aspetti differenti a seconda del contesto e del gruppo che lo anima.
• Il Tempo del Cerchio (Circle Time) è un metodo di lavoro ideato dalla psicologia umanistica negli anni ’70 con l’intento di proporre discussioni filosofiche tra coetanei sia nelle classi scolastiche sia in altri gruppi. Si chiama così perché tutti i partecipanti sono seduti in cerchio, compreso chi lo conduce che non ha una posizione privilegiata ma d’indirizzo e di guida nella discussione. Il Circle Time facilita e sviluppa la comunicazione circolare, favorisce la conoscenza di sé, promuove la libera e attiva espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali e, in definitiva, crea un clima di serenità e di condivisione che permette la costituzione di qualsiasi nuovo gruppo di lavoro e può essere preliminare a qualunque attività.
Al “Discovery Camp 2017” ho portato due attività (14 luglio e 11 agosto), pensate per due gruppi di circa 15/20 bambini alla volta nell’arco di una mattinata della durata di un’ora circa ognuno; un’attività all’inizio del percorso dei centri estivi e una finale conclusiva del ciclo. Suggestionato da un brano del Progetto che diceva «Nella nostra ricetta per un’estate davvero a misura di bambino non può mancare un ingrediente sociale che potremmo sintetizzare cosi: “scopri ciò che sai, diventa ciò che sei”. Ogni scoperta comincia con una partenza, un’idea, un cambiamento di direzione». Un riferimento direi quantomeno nicciano; ho cominciato a pensare come realizzarlo, individuando nel tema vasto della costruzione del sé, o anche dell’identità, l’ambito di riferimento generare delle attività.
1. Per il primo appuntamento ho pensato di leggere un brano tratto da un testo, “Storie della buonanotte per bambine ribelli, 100 vite di donne straordinarie” di E. Favilli e F. Cavallo (Mondadori): la storia di Ashley Fiolek, motocrossista affetta da sordità che diventa campionessa nazionale negli USA. Da questo testo la discussione si è indirizzata verso la specificità di ognuno, su ciò che rende speciale ognuno di noi, facendo in modo che i bambini, a turno, potessero parlare liberamente. In seguito alla discussione ho offerto loro una scheda fotocopiata con diversi profili di volti maschili e femminili ma vuoti, in modo che i bambini potessero riempirli disegnandosi e scrivendo sotto la loro personale specialità. C’è chi è un campione in un certo gioco elettronico, chi sa cantare, chi è brava a ballare, chi è bravo a andare in skateboard. Ne è uscito un cartellone esposto per le famiglie alla festa conclusiva.
2. Nella sessione finale invece ho scelto di partire dalle parole chiave che ho ricavato dal Progetto, che è lo storyboard del “Discovery Camp 2017”. Ne ho selezionate una ventina (tra queste: condividere, gioco, avventura, inventare, conoscere, emozioni) che ho proposto distribuendole liberamente sul pavimento ai bambini; dopo averle lette più volte insieme, ho chiesto loro di sceglierne una che esemplificasse adeguatamente la loro personale esperienza al Centro Estivo 2017. Le abbiamo quindi lette insieme selezionando ulteriormente tra queste le due più votate; con queste due parole (lavorando con due gruppi) abbiamo costruito la nostra “poesia”, poi trascritta su di un cartellone. Per “comporre” la poesia ogni bambino aveva l’onere di pensare una frase, un verso, un pensiero e di andare a scriverlo personalmente sul cartellone e firmarlo.
Nonostante l’introduzione della filosofia con i bambini sia consigliata e sperimentata con benefici riconosciuti ormai a livello internazionale, a partire dall’esperienza di Lipman in America negli anni ’70 del ‘900 fino alle attuali sperimentazioni europee in Irlanda e in Inghilterra, in Italia - a parte le esperienze con la P4C, che ritengo presenti aspetti di rigidità strutturale e difficoltà gestionali - siamo ancora in una fase in cui le poche iniziative sono lasciate alla discrezionalità dei docenti o alla sensibilità dei Dirigenti scolastici. A mio avviso siamo ancora lontani da una stabile introduzione di pratiche filosofiche nel curricolo scolastico, magari collegate all’interno della progettazione didattica per l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, materia introdotta dal Ministero come sperimentale già ormai dal 2008 ma, di fatto, poco approfondita. Questa difficoltà è dovuta anche alla resistenza sulla questione pratiche filosofiche versus didattica della storia della filosofia (interna al sistema scolastico), per la quale la filosofia è ancora ed esclusivamente intesa come studio di una sequenza storica di pensatori e concetti; ma questo è un altro discorso che qui si può solo accennare.
Nella mia esperienza gli aspetti positivi che ho potuto notare sono stati:
- la curiosità naturale dei bambini, e quindi una loro maggiore attenzione, per esperienze che sentono vicine alle attività che svolgono a scuola, ma vivono come differenti (e quindi queste diventano pratiche di educazione comune alternativa);
- la possibilità di parlare liberamente: di fronte a questa opportunità alcuni bambini sono inizialmente incapaci di dire qualcosa, di esprimersi, altri invece bisogna frenarli da tanto che parlerebbero, e in ogni caso per i bambini si tratta di affinare le capacità espressive e di argomentazione in pubblico, attinenti all’esercizio della democrazia; emerge sempre la capacità di autoregolarsi, sia nel turno di parola che nel rispetto verso ciò che gli altri dicono, e questo è sempre un vero ed utilissimo esercizio di rispetto delle regole comuni;
- lo sviluppo del pensiero critico, che nel lavoro con i bambini si trasforma in un processo di scoperta delle possibilità del pensiero: quando si propone loro un tema e poi gli si chiede di approfondirlo discutendone, è quasi percepibile fisicamente (si “vede”) il moto del pensare, lo sforzo di fronte ad una richiesta, e questo è l’esercizio del pensiero in atto.
Per concludere, mi piace ricordare quanto ho detto loro in apertura: «per quello che dobbiamo fare oggi servono solo due cose che abbiamo tutti: le orecchie e la lingua!»
Durante questa estate 2017 ho collaborato con la Cooperativa Sociale Itaca di Pordenone che gestisce i Centri Estivi comunali di Cavallino Treporti e altri servizi sociali nel territorio veneziano dove vivo. Il progetto “Discovery Camp 2017”, attivato tra luglio e agosto, prevedeva diverse attività rivolte ai bambini tra i cinque e i dieci anni d’età: laboratori, giochi, uscite e gite, attività legate alla creatività e alla pittura e feste con le famiglie. La responsabile del progetto, dott. Serafini, memore dei Laboratori e i Caffè filosofici che regolarmente gestisco da alcuni anni (rivolti a giovani e adulti) nel territorio - nell’ambito delle attività culturali programmate dall’amministrazione locale - mi ha proposto di pianificare e gestire attività con i bambini legate al dialogo, alla condivisione e al pensiero critico.
Come docente, educatore e animatore ho avuto spesso la possibilità di sperimentare attività di questo tipo con un approccio metodologico ed educativo/didattico, improntato alla riflessione, alla problematizzazione, allo sviluppo di concetti a partire da termini chiave, all’attenzione alle parole e alla pratica dell’ascolto reciproco; sono attività in apparenza semplici o che potrebbero sembrare banali, che ad un’analisi attenta rivelano piuttosto la loro specifica finalità, indirizzata verso lo sviluppo di quelle competenze sociali e di cittadinanza che a mio avviso la formazione pratico/filosofica è in grado di sviluppare e garantire adeguatamente. Cosa s’intende con competenze sociali e di cittadinanza? Si tratta di quelle competenze specifiche che la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 individua come competenze chiave per l'apprendimento permanente, necessarie ad ogni cittadino per riuscire ad inserirsi con successo all'interno dell'ambito sociale e lavorativo, tra queste appunto le competenze sociali e civiche, ovvero “Agire in modo autonomo e responsabile, conoscendo e osservando regole e norme, con particolare riferimento alla Costituzione. Collaborare e partecipare comprendendo i diversi punti di vista delle persone”. Si tratta delle stesse competenze richiamate dalle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 quando si parla di “Insegnare le regole del vivere e del convivere e di formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente”, a proposito di “nuova cittadinanza”.
Cosa s’intende per formazione pratico/filosofica? In questi ultimi anni sono sorte diverse esperienze di pratica filosofica con i bambini, ognuna con le proprie specificità: dai Ludofilosofici alla Filosofia con i bambini, tutte ugualmente legittime se epistemologicamente giustificate, cioè capaci di “fondare il proprio fare”. Il riferimento principale, e più autorevole, nel lavoro con i bambini è la Philosophy for Children, la cosiddetta P4C, che ha come obiettivo il “filosofare”, “il pensare su…” e quindi le abilità generali di ragionamento che ogni bambino sviluppa per accedere al senso del proprio mondo. La P4C è la pratica filosofica ideata da Matthew Lipman, (nei testi Educare al pensiero, Philosophy in the classroom e altri) pensata per la scuola americana negli anni ’70 del Novecento; essa si pone l’obiettivo di trasformare la classe in comunità di ricerca filosofica. Nelle mie attività la P4C è stata un modello certo, ma non ho la pretesa di replicare tale modello (di cui ho esperienza ma non sono formato a proporre: non intendo quindi affermare di “aver fatto P4C”). Un altro riferimento è Oscar Brenifier che parla di tre dimensioni del filosofare con i bambini, che sono: 1) la dimensione intellettuale, il pensare da sé; 2) la dimensione esistenziale, l’essere se stesso; 3) la dimensione sociale, il pensare con gli altri (cfr. Oscar Brenifier, Filosofare come Socrate, Ipoc 2015). Queste dimensioni comportano: la precisione del pensiero, la consapevolezza, imparare la chiarezza e la coerenza, imparare il confronto con gli atri, saper gestire la problematizzazione, attenersi alle regole. Questo perché ritengo che filosofare con bambini ha senso esclusivamente all’interno di una cornice di riferimento, il gruppo, la classe, e abbia sempre un termine nella vita reale, che coinvolga la vita quotidiana e le esperienze dei bambini stessi. Ho anche in mente quanto scrive Ran Lahav a proposito di Companionship e i concetti base che la ispirano: “The concepts of the profound, the inner dimension, inner attitude, speakinf from, contemplating, giving voice, togheterness, and resonating” - i concetti di profondo, la dimensione interiore, l’attitudine interiore, il parlare da, la contemplazione, il dare voce, la comunanza e il far risuonare (R. Lahav, Handbook of philosophical-contemplative companionship, principles, procedures, exercises - Solfanelli 2016).
Non ho preteso di emulare modelli altrui o assimilare il mio lavoro alla pratica di altri; la mia attività di docente nella scuola primaria, le mie esperienze di animatore, di educatore e di esperto di didattica con disabilità, unite alle competenze di consulente filosofico, mi hanno permesso di elaborare un indirizzo personale, che traduce con i bambini soprattutto le modalità pratiche del Laboratorio filosofico e del Circle Time.
• Il termine Laboratorio Filosofico indica una pratica dialogica di gruppo che trova una sua identità in ciò che scrive Gerd Achenbach, fondatore nel 1980 della Philosophische Praxis: “non si occupa di sistemi filosofici, non costruisce alcuna filosofia, non somministra nessuna opinione filosofica, ma mette il pensiero in movimento: filosofa”. Queste pratiche trovano un riferimento preciso non tanto in un autore più noto o in una corrente specifica di pensiero, ma piuttosto riconoscono il loro “luogo” in una tendenza socratica alla funzione pratica e sociale e quindi politica dell'esercizio della filosofia. Essendo una pratica, il Laboratorio assume la forma della sperimentazione e dell'elaborazione di una metodologia aperta, non ancora decodificata; per questo motivo di volta in volta si reinventa con aspetti differenti a seconda del contesto e del gruppo che lo anima.
• Il Tempo del Cerchio (Circle Time) è un metodo di lavoro ideato dalla psicologia umanistica negli anni ’70 con l’intento di proporre discussioni filosofiche tra coetanei sia nelle classi scolastiche sia in altri gruppi. Si chiama così perché tutti i partecipanti sono seduti in cerchio, compreso chi lo conduce che non ha una posizione privilegiata ma d’indirizzo e di guida nella discussione. Il Circle Time facilita e sviluppa la comunicazione circolare, favorisce la conoscenza di sé, promuove la libera e attiva espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali e, in definitiva, crea un clima di serenità e di condivisione che permette la costituzione di qualsiasi nuovo gruppo di lavoro e può essere preliminare a qualunque attività.
Al “Discovery Camp 2017” ho portato due attività (14 luglio e 11 agosto), pensate per due gruppi di circa 15/20 bambini alla volta nell’arco di una mattinata della durata di un’ora circa ognuno; un’attività all’inizio del percorso dei centri estivi e una finale conclusiva del ciclo. Suggestionato da un brano del Progetto che diceva «Nella nostra ricetta per un’estate davvero a misura di bambino non può mancare un ingrediente sociale che potremmo sintetizzare cosi: “scopri ciò che sai, diventa ciò che sei”. Ogni scoperta comincia con una partenza, un’idea, un cambiamento di direzione». Un riferimento direi quantomeno nicciano; ho cominciato a pensare come realizzarlo, individuando nel tema vasto della costruzione del sé, o anche dell’identità, l’ambito di riferimento generare delle attività.
1. Per il primo appuntamento ho pensato di leggere un brano tratto da un testo, “Storie della buonanotte per bambine ribelli, 100 vite di donne straordinarie” di E. Favilli e F. Cavallo (Mondadori): la storia di Ashley Fiolek, motocrossista affetta da sordità che diventa campionessa nazionale negli USA. Da questo testo la discussione si è indirizzata verso la specificità di ognuno, su ciò che rende speciale ognuno di noi, facendo in modo che i bambini, a turno, potessero parlare liberamente. In seguito alla discussione ho offerto loro una scheda fotocopiata con diversi profili di volti maschili e femminili ma vuoti, in modo che i bambini potessero riempirli disegnandosi e scrivendo sotto la loro personale specialità. C’è chi è un campione in un certo gioco elettronico, chi sa cantare, chi è brava a ballare, chi è bravo a andare in skateboard. Ne è uscito un cartellone esposto per le famiglie alla festa conclusiva.
2. Nella sessione finale invece ho scelto di partire dalle parole chiave che ho ricavato dal Progetto, che è lo storyboard del “Discovery Camp 2017”. Ne ho selezionate una ventina (tra queste: condividere, gioco, avventura, inventare, conoscere, emozioni) che ho proposto distribuendole liberamente sul pavimento ai bambini; dopo averle lette più volte insieme, ho chiesto loro di sceglierne una che esemplificasse adeguatamente la loro personale esperienza al Centro Estivo 2017. Le abbiamo quindi lette insieme selezionando ulteriormente tra queste le due più votate; con queste due parole (lavorando con due gruppi) abbiamo costruito la nostra “poesia”, poi trascritta su di un cartellone. Per “comporre” la poesia ogni bambino aveva l’onere di pensare una frase, un verso, un pensiero e di andare a scriverlo personalmente sul cartellone e firmarlo.
Nonostante l’introduzione della filosofia con i bambini sia consigliata e sperimentata con benefici riconosciuti ormai a livello internazionale, a partire dall’esperienza di Lipman in America negli anni ’70 del ‘900 fino alle attuali sperimentazioni europee in Irlanda e in Inghilterra, in Italia - a parte le esperienze con la P4C, che ritengo presenti aspetti di rigidità strutturale e difficoltà gestionali - siamo ancora in una fase in cui le poche iniziative sono lasciate alla discrezionalità dei docenti o alla sensibilità dei Dirigenti scolastici. A mio avviso siamo ancora lontani da una stabile introduzione di pratiche filosofiche nel curricolo scolastico, magari collegate all’interno della progettazione didattica per l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, materia introdotta dal Ministero come sperimentale già ormai dal 2008 ma, di fatto, poco approfondita. Questa difficoltà è dovuta anche alla resistenza sulla questione pratiche filosofiche versus didattica della storia della filosofia (interna al sistema scolastico), per la quale la filosofia è ancora ed esclusivamente intesa come studio di una sequenza storica di pensatori e concetti; ma questo è un altro discorso che qui si può solo accennare.
Nella mia esperienza gli aspetti positivi che ho potuto notare sono stati:
- la curiosità naturale dei bambini, e quindi una loro maggiore attenzione, per esperienze che sentono vicine alle attività che svolgono a scuola, ma vivono come differenti (e quindi queste diventano pratiche di educazione comune alternativa);
- la possibilità di parlare liberamente: di fronte a questa opportunità alcuni bambini sono inizialmente incapaci di dire qualcosa, di esprimersi, altri invece bisogna frenarli da tanto che parlerebbero, e in ogni caso per i bambini si tratta di affinare le capacità espressive e di argomentazione in pubblico, attinenti all’esercizio della democrazia; emerge sempre la capacità di autoregolarsi, sia nel turno di parola che nel rispetto verso ciò che gli altri dicono, e questo è sempre un vero ed utilissimo esercizio di rispetto delle regole comuni;
- lo sviluppo del pensiero critico, che nel lavoro con i bambini si trasforma in un processo di scoperta delle possibilità del pensiero: quando si propone loro un tema e poi gli si chiede di approfondirlo discutendone, è quasi percepibile fisicamente (si “vede”) il moto del pensare, lo sforzo di fronte ad una richiesta, e questo è l’esercizio del pensiero in atto.
Per concludere, mi piace ricordare quanto ho detto loro in apertura: «per quello che dobbiamo fare oggi servono solo due cose che abbiamo tutti: le orecchie e la lingua!»
Davide Ubizzo
Verificato che non ci fossero ipoudenti? Non sto scherzando.
RispondiEliminaGrazie collega della domanda ch prendo molto seriamente. Ritengo buona prassi, tu m'insegni, uno o più incontri con la "committenza" che hanno lo scopo di verificare e ricevere notizie,informazioni, dati sensibili riguardanti i partecipanti, per programmare l'intervento in modo da non calarlo dall'alto ma adeguarlo al gruppo specifico cui è rivolto, tanto più nel caso di minori come è stato per questa esperienza. Un sovrappiù di sensibilità e scrupolo lo devo al fatto di essere un professionista specializzato in didattica per alunni disabili all'Università di Padova, con esperienza oramai pluriennale, questo comporta saper rendere inclusiva qualsiasi attività proposta. In questo caso ho inoltre avuto la fortuna di conoscere già la maggior parte dei bimbi per precedenti collaborazioni come animatore, ero quindi molto agevolato.
RispondiEliminaGrazie per la sintesi. Vorrei introdurre i laboratori filosofici nella mia scuola (Licoe/Ipsia), ma sono ancora in una fase pre-preparatoria, non sapendo fino a dove può arrivare la mia iniziativa né la sensibilità della dirigenza, come accennavi sulla mancanza delle pratiche filosofiche nel curriculum scolastico. Tommaso Mantovani
RispondiEliminaBuongiorno Tommaso. Grazie della domanda. Rispetto alla tua intenzione di introdurre a scuola i laboratori filosofici, (a quale modello fai riferimento quando usi questo termine?) credo che potresti prima interrogare te stesso e definire quali sono i tuoi obiettivi: migliorare la didattica, lavorare sulle capacità logiche degli alunni, lavorare sulle capacità relazionali, sociali, di cittadinanza? In secondo luogo capire che cosa hai a disposizione, cioè su quale rete di relazioni ti puoi appoggiare: colleghi, amici, collaboratori esterni, esperti qualificati? Da quel che capisco è un tuo desiderio che sconta difficoltà operative e motivazionali. Se c’è , nella tua scuola, sensibilità su queste pratiche di matrice filosofica e sulla loro reale effettività e fecondità formativa allora puoi stringere alleanze e presentare un progetto ma questo dalle poche righe che scrivi non riesco a intuirlo. Dove potrà arrivare la tua iniziativa non lo puoi sapere prima ma solo una volta conclusa.
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