Orlando Franceschelli |
Il “ritiro di spiritualità laica” tenutosi a maggio presso la Fattoria sociale “Martina e Sara” di Bruca, con il quale si è aperto un ciclo di incontri sul tema della Identità, è stato molto partecipato e soprattutto molto proficuo.
La decisione dei titolari della Fattoria, Giovanna Bongiorno e Mario Mulè, di affidare al filosofo Orlando Franceschelli il primo appuntamento si è rivelata opportuna e lungimirante.
Infatti non c’è dubbio che alla domanda “Chi sono io?” ciascuno di noi può rispondere solo ricorrendo alle coordinate delle varie scienze umane, psicologia e sociologia innanzitutto, e mettendosi in ascolto delle grandi tradizioni sapienziali dell’umanità, dal buddhismo all’ebraismo, dal cristianesimo all’islamismo.
Tuttavia è la filosofia che può offrire quella cornice complessiva, quello scenario di fondo, al cui interno soltanto possono decifrarsi le variabili individuali.
Quando Socrate sostiene di aver voluto obbedire all’invito dell’oracolo di Delfi “Conosci te stesso!” – un invito che può considerarsi fondante della missione di qualsiasi filosofo – non si riferiva alla conoscenza del proprio “io” soggettivo, della propria biografia, delle proprie caratteristiche consce e inconsce, ma si riferiva, piuttosto, alla conoscenza di sé in quanto essere umano, in quanto “mortale”, in quanto appartenente all’umanità. Si riferiva alla posizione nel cosmo dell’animale dotato di parola.
Riprendo – e sviluppo sotto la mia esclusiva responsabilità – alcune preziose indicazioni suggeriteci da Franceschelli.
La decisione dei titolari della Fattoria, Giovanna Bongiorno e Mario Mulè, di affidare al filosofo Orlando Franceschelli il primo appuntamento si è rivelata opportuna e lungimirante.
Infatti non c’è dubbio che alla domanda “Chi sono io?” ciascuno di noi può rispondere solo ricorrendo alle coordinate delle varie scienze umane, psicologia e sociologia innanzitutto, e mettendosi in ascolto delle grandi tradizioni sapienziali dell’umanità, dal buddhismo all’ebraismo, dal cristianesimo all’islamismo.
Tuttavia è la filosofia che può offrire quella cornice complessiva, quello scenario di fondo, al cui interno soltanto possono decifrarsi le variabili individuali.
Quando Socrate sostiene di aver voluto obbedire all’invito dell’oracolo di Delfi “Conosci te stesso!” – un invito che può considerarsi fondante della missione di qualsiasi filosofo – non si riferiva alla conoscenza del proprio “io” soggettivo, della propria biografia, delle proprie caratteristiche consce e inconsce, ma si riferiva, piuttosto, alla conoscenza di sé in quanto essere umano, in quanto “mortale”, in quanto appartenente all’umanità. Si riferiva alla posizione nel cosmo dell’animale dotato di parola.
Riprendo – e sviluppo sotto la mia esclusiva responsabilità – alcune preziose indicazioni suggeriteci da Franceschelli.
Augusto Cavadi
Egli ha proposto di vedere l’identità di ogni persona come risultato di una addizione, forse meglio di una moltiplicazione: il prodotto di una identità sociale, storica, culturale, l’identità ereditata, e di una identità riflessiva, originale, auto-creatami cioè l’identità inventata.
L’identità ereditata non dipende da me; da me dipende l’identità inventata.
Essendo un incrocio problematico fra ciò che siamo per eredità e ciò che possiamo diventare per scelta, darsi un’identità personale è un rischio e una fatica. Ecco perché la stragrande maggioranza della gente evita di impegnarsi su questa strada e preferisce semplificare.
Un primo modo, più diffuso, di semplificare è tagliare la seconda identità, l’identità inventata, e restare attaccati solo alla prima, l’identità ereditata.
E’ l’opzione dei tradizionalisti conservatori. C’è un dubbio, un problema, un nuovo interrogativo? Basta rispondere: “Farò come si è sempre fatto”.
Un secondo modo, meno diffuso, di semplificare è tagliare la prima identità (l’identità ereditata) e tentare di crearsene una seconda (l’identità inventata) come si fosse senza un passato, senza una comunità di appartenenza.
E’ l’opzione dei rivoluzionari giacobini di ogni epoca che si illudono di poter azzerare tutto e ricominciare daccapo. Di solito c’è sempre qualcuno che non è perfettamente d’accordo sul ripartire da zero e allora gli si deve tagliare la testa.
Chi vuole evitare queste scorciatoie e conciliare l’identità ereditata (il noi della comunità) con l’identità inventata (l’io della individualità, meglio della singolarità unica, inedita, irripetibile) deve accettare una certa solitudine: sarà troppo innovatore per i tradizionalisti e troppo moderato per i rivoluzionari impazienti.
Chi di noi ha tentato questa strada l’ha sperimentato sulla propria pelle.
Per esempio, nel campo religioso. In Italia o sei un credente cattolico apostolico romano o sei un ateo. Se uno osa dire: sono cristiano perché trovo nel Vangelo un modello di vita, ma non mi ritrovo nella Chiesa cattolica (con i suoi dogmi, i suoi divieti, i suoi imperativi...) è fregato.
I cattolici lo riterranno un traditore e come tale lo tratteranno. I laici lo riterranno comunque un tipo sospetto, da guardare con diffidenza, perché parla di teologia, di storia delle religioni, di sequela dell’uomo Gesù, di contemplazione e di compassione per i sofferenti...
Così anche nel campo delle scelte affettivo-sessuali. Forse hai sempre pensato che si ama qualcuno sperando che sia la compagnia della tua vita. Non ti ha mai interessato il turismo sentimentale – oggi una, domani l’altra – perché hai avuto cose più interessanti da sperimentare sapendo che la vita è breve?
Questa monogamia tendenziale, di desiderio, di intenzione rientra senza traumi nell’identità collettiva cattolico-borghese.
Se però constati che un rapporto di coppia non funziona, non ti rende sereno e aperto agli altri – e interrompi la relazione di coppia – scatta una sanzione sociale.
L’identità tradizionale del monogamo, fedele alla compagna o alla moglie solo perché questo ci si aspetta per convenzione in una società, spesso ipocritamente perbenista, ti riesce troppo stretta da sopportare?
Sappi che – almeno da alcuni ambienti che frequenti – arriverà una sorta di stigma. E’ faticoso costruirsi un’identità che non sia il marito piccolo-borghese, rassegnato al grigiore di un ménage di coppia trascinato per inerzia, ma neppure il don Giovanni farfallone per il quale “l’una o l’altra per me pari sono”.
Insomma: sarai troppo bacchettone per gli amici edonisti, ma troppo trasgressivo per gli amici moralisti, abbarbicati all’identità tradizionale borghese.
Sia l’identità ereditata che l’identità inventata, le due identità dal cui gioco dialettico scaturisce l’identità antropologica di ciascuno di noi, hanno in comune una caratteristica: nessuna delle due è un’identità identica.
Entrambe sono identità multiple, plurali.
René Magritte, "Decalcomania" (1966), olio su tela |
• Identità di identità, non identità definita e conchiusa, è già la mia identità anagrafica. Da parte di madre (Sicilia orientale) forse derivo da spagnoli emigrati nell’Isola al servizio della nobiltà castigliana; da parte di padre (Mezzojuso) derivo certamente dai Greci che nel XV secolo fuggirono dalla patria invasa dai Turchi musulmani e fondarono delle colonie in Sicilia occidentale, l’Eparchia di Piana degli Albanesi. Ci sono dei programmi computerizzati che, in base al Dna, sono in grado di stabilire le ascendenze etniche di un soggetto: chi li ha sperimentati è rimasto sorpreso dall’apprendere di avere antenati da mezzo mondo;
• Identità multipla è la mia identità di cittadino europeo. Quando Chiesa cattolica e certo mondo politico, a proposito della Costituzione europea, che poi proprio per i dissensi sorti non si è varata, chiedevano l’inserimento delle radici cristiane, altre forze politiche si opposero. Ciò che pensai e che scrissi fu che certamente era legittimo evocare le radici cristiane dell’Europa attuale, ma che aveva senso allora citarle tutte: le radici ebraiche (Gerusalemme), le radici greche (Atene), le radici della Roma pagana madre del diritto mondiale; le radici islamiche (La Mecca), le radici illuministe (Parigi), le radici romantiche (Berlino)…
• Identità multipla è la mia identità ideologico-politica. Quando mi chiedo che progetto di polis, di città, ho in mente – e, di conseguenza, mi sforzo di perseguire con il voto e con l’azione quotidiana – scopro che non mi sentirei di rinunziare agli apporti del liberalismo, del socialismo, del cattolicesimo democratico, dell’ambientalismo, dello stesso anarchismo... Mi sentirei diminuito, mutilato, se mi dovessi identificare esclusivamente in una di queste tradizioni politiche. E fu questa la ragione consapevole ed esplicita per cui non fui marxista neppure negli anni tra il ’68 e il ’77 in cui era quasi obbligatorio per uno studente di filosofia, pur sostenendo – in pubblicazioni che ancora conservo – che il marxismo, debole come terapia, era irrinunciabile come diagnosi delle contraddizioni del capitalismo.
• Identità multipla è la mia identità di genere sessuale. Sono socio fondatore del “Gruppo noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”. Spesso ci scambiano per predicatori laici contro i femminicidi: ma se fossimo questo, che bisogno ci sarebbe di creare un gruppo specifico? Ci sono forse uomini a favore della violenza sulle donne? Il nostro gruppo fa parte di un movimento nazionale, attivo in vari luoghi del Paese da circa trent’anni, che si chiama “Maschile plurale”. Che cosa intendiamo dire con questa denominazione? Che il sesso biologico è genetico, ereditario; ma il genere (maschile o femminile) è culturale, costruito dalla società. La società attuale conosce per lo più un solo genere di maschilità: noi pensiamo che l’identità di genere possa, e debba, essere – appunto – “plurale”. Certamente c’è il genere maschile predominante: l’uomo forte, sicuro di sé, che non cede facilmente alle emozioni, che produce molto, fa carriera, conquista con uno sguardo le ‘femmine’ più appetitose. Insomma, come sintetizza splendidamente la pubblicità di un profumo, “l’uomo che non deve chiedere mai”. Ma questo, per noi, è uno dei tanti modi di essere maschio: c’è anche il maschio materno che si prende cura dei piccoli e che si emoziona davanti a un panorama bello o a una musica toccante; c’è anche il maschio fraterno che gioisce non quando supera gli altri nella corsa ma quando si affianca a chi incontra più difficoltà nel cammino; c’è il maschio riservato, silenzioso, che ama osservare e meditare più che agire e trasformare; che ama più ascoltare che parlare; a cui sta bene restare uno della folla e non avverte nessun bisogno di farsi notare sollevandosi sulle punta dei piedi... Conversando di queste tematiche con alcuni di noi, don Cosimo Scordato ci folgorò con una delle sue formule: non c’è una sola identità di genere, ma ci sono tanti generi quanto sono gli individui. Ognuno di noi è un genere a parte.
• Identità multipla, infine, è la mia identità antropologica di essere umano. Che cosa mi identifica nel cosmo come essere umano? Religioni, filosofie, sapienze hanno cercato di evidenziare il tratto essenziale, caratteristico: l’uomo è tale perché pensa o perché parla o perché ama o perché può scegliere con una certa libertà o perché lavora o perché fa parte di una società...
René Magritte, "Golconda" (1953), olio su tela |
Nessuna di queste identificazioni ha resistito alle critiche se è stata proposta come unica, esclusiva. Personalmente se, con una pistola alla tempia fossi costretto a indicare una sola identità, direi con Bergson che l’uomo è identificato nell’universo dei viventi conosciuti come l’essere capace di ridere, prima di tutto di sé stesso.
Ma siccome nessuno, almeno sinora, mi ha costretto a puntare su un’unica identificazione, direi con l’autore latino Terenzio: Homo sum, humaninihil alienum a me puto - “Sono uomo e non ritengo che nulla di umano mi sia estraneo”. La nostra identità antropologica è mosaica: non da Mosé, ma da mosaico.
Augusto Cavadi
P.S.: Mario Mulé, psichiatra e psicoterapeuta, condurrà la seconda tappa dell’itinerario sulla identità nel prossimo weekend 8-9 giugno. Ovviamente il suo contributo sarà offerto dal punto di vista disciplinare della sua professione.
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