• Anna Colaiacovo •
Si parla molto in questi giorni di ChatGPT, un software sviluppato da OpenAI che rappresenta l’ultima frontiera nel campo dell’intelligenza artificiale. È veloce, potente e attinge a uno straordinario database di informazioni che seleziona grazie ad algoritmi. É in grado di scrivere testi e di rispondere in modo coerente a richieste anche complesse di un umano. Inoltre apprende continuamente dalle domande degli utenti.
Stiamo forse arrivando a macchine realmente intelligenti come auspicava Alan Turing nel 1950?
Secondo Luciano Floridi, ordinario di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, “ChatGPT ha una enorme capacità di agire, ma senza intelligere”. Mentre nell’essere umano l’azione è normalmente collegata con il pensiero, nelle macchine si assiste a un vero e proprio divorzio tra azione e pensiero, tra capacità di agire e necessità di essere intelligenti per farlo. Funzionano perché noi umani stiamo adattando il mondo alle macchine stesse. Ad esempio, le auto a guida autonoma potranno veramente circolare nelle città soltanto se ripenseremo le città adattandole ad esse.
Gli umani trasformano il mondo attraverso la tecnologia. Nello stesso tempo, però, sono essi stessi trasformati dalla tecnologia. In particolare, il mondo digitale che abbiamo costruito sta cambiando radicalmente anche noi. Fino a che punto? Per il prof. Floridi la differenza tra l’uomo e la macchina resterà sempre: “a livello di output di un processo magari anche no. Ma resterà diverso l’input e soprattutto il processo... La differenza è nella storia che c’è dietro”.¹
Una differenza sottolineata anche da M. Benasayag e B. Cany autori del testo "Corpi viventi - Pensare e agire contro la catastrofe" (Feltrinelli, Milano 2022). Partendo dalla considerazione che i corpi viventi sono la condizione stessa dell’esistenza, sostengono che “non si può mai ridurre il presente del vivente all’ora istantanea in cui funzionano gli artefatti. Per il vivente, la storia è ben più che una semplice dimensione evocabile: lo plasma e lo rimodella costantemente. Si avrebbe torto in tal senso ad assimilare quel passato a un’enciclopedia o a un disco rigido (hard disk) in cui i dati immagazzinati rimangono inalterati. Include al contrario, nella sua riattualizzazione nel presente, un forte contenuto di imprevedibilità”. (p. 138)
Riprendendo Spinoza, Benasayag e Cany affermano che ciò che caratterizza un organismo e lo distingue da un aggregato è lo sforzo (conatus), per cui l’esistenza si manifesta come lo “sforzo finalizzato a perseverare nel suo essere”. L’agire è l’essenza del vivente e non indica una mancanza, ma un eccesso di potenza che apre a nuovi scenari. Non a caso Hannah Arendt ha colto nella categoria della natalità, che annuncia al mondo l’apparire del nuovo e la possibilità di iniziare qualcosa di nuovo, ciò che caratterizza la condizione umana. L’esperienza della nascita, fondata sulla contingenza e sulla precarietà, mette in evidenza la fragilità di ogni esistenza, ma anche la capacità di aprire una nuova prospettiva di senso sulla realtà.
Nel nostro tempo però l’azione umana sembra atrofizzata. Perché? La tesi degli autori è la seguente: l’azione umana negli ultimi secoli è stata guidata da una soggettività (l’Io sovrano) che ha pensato di poter dominare con la propria razionalità la natura e i corpi, e di poter trasformare la storia spinta dall’idea del progresso. Obiettivo: la graduale liberazione dell’umanità dalle malattie, dalla povertà e dalle ingiustizie.
Il disorientamento che caratterizza il tempo in cui viviamo nasce dal fallimento di questi obiettivi e dal conseguente tramonto del mito del progresso. Il futuro ha mutato segno. Non si presenta più come una promessa, ma come una minaccia. L’aumento esponenziale dei tumori e l’epidemia causata dal Covid-19 hanno messo in rilievo la fragilità della nostra condizione esistenziale all’interno di un ambiente che abbiamo saccheggiato, inquinato, in parte distrutto. Hanno reso evidente la nostra dipendenza dalla natura di cui siamo parte e non padroni.
Ormai siamo perfettamente consapevoli degli effetti catastrofici sull’ambiente del nostro modello di vita e dei pericoli che corriamo, ma non agiamo. Perché? Ogni agire nasce dalla capacità di immaginare altri mondi, ma il realismo tecnico-economico dominante ci convince che non c’è alternativa. L’orizzonte dell’uomo postmoderno, sopravvissuto alla fine delle ideologie, è l’io individuale alla ricerca del piacere, in un mondo diventato un terreno di gioco: “Nelle nostre società orfane del senso del progresso, l’informatica e la robotica pervengono a ristrutturare nuove profezie di vita aumentata, finalmente liberata dalle limitazioni inscritte nei corpi e nei processi singolari del vivente. L’accesso a quell’illimitato ha però sempre un prezzo: rinunciare a esistere per diventare i nostri profili, trasparenti a noi stessi e agli altri”. (p. 33)
Attraverso la genetica, la robotica, l’informazione e la nanotecnologia, gli adepti della tecnologia (i transumanisti) sognano il superamento della malattia, dell’invecchiamento e della morte. In definitiva, la liberazione dell’intelligenza dal corpo mortale. Secondo Benasayag e Cany, invece, proprio la valorizzazione dei corpi, del campo biologico, potrà ridare all’azione umana un ruolo da protagonista per mettere la tecnica al servizio degli esseri viventi.
Pensare di bloccare lo sviluppo tecnologico è una follia. In meno di cinquant’anni le tecnologie digitali e robotiche si sono diffuse ovunque e in tutti i settori. L’ibridazione dell’umano con la tecnica è già realtà perché le tecnologie digitali fanno ormai parte integrante della nostra vita, ma occorre riflettere sulle condizioni di questa ibridazione affinché non colonizzino il vivente e distruggano la sua singolarità. Sono necessarie pratiche che riconducano l’umano all’interno degli ecosistemi. Sono interessanti da questo punto di vista i cambiamenti che stanno avvenendo sul piano giuridico. Paesi come l’Ecuador, la Bolivia, la Colombia, la Nuova Zelanda e l’India hanno infranto la frontiera che sembrava insuperabile tra l’uomo e la natura, con il riconoscimento della personalità giuridica ad animali, piante, fiumi. É il segnale di una ricomposizione dei rapporti con la natura che configura nuove espressioni dell’agire.
Stiamo forse arrivando a macchine realmente intelligenti come auspicava Alan Turing nel 1950?
Secondo Luciano Floridi, ordinario di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, “ChatGPT ha una enorme capacità di agire, ma senza intelligere”. Mentre nell’essere umano l’azione è normalmente collegata con il pensiero, nelle macchine si assiste a un vero e proprio divorzio tra azione e pensiero, tra capacità di agire e necessità di essere intelligenti per farlo. Funzionano perché noi umani stiamo adattando il mondo alle macchine stesse. Ad esempio, le auto a guida autonoma potranno veramente circolare nelle città soltanto se ripenseremo le città adattandole ad esse.
Gli umani trasformano il mondo attraverso la tecnologia. Nello stesso tempo, però, sono essi stessi trasformati dalla tecnologia. In particolare, il mondo digitale che abbiamo costruito sta cambiando radicalmente anche noi. Fino a che punto? Per il prof. Floridi la differenza tra l’uomo e la macchina resterà sempre: “a livello di output di un processo magari anche no. Ma resterà diverso l’input e soprattutto il processo... La differenza è nella storia che c’è dietro”.¹
"Corpi viventi - Pensare e agire contro la catastrofe", di Miguel Benasayag e Bastien Cany. Feltrinelli, Milano 2022 |
Una differenza sottolineata anche da M. Benasayag e B. Cany autori del testo "Corpi viventi - Pensare e agire contro la catastrofe" (Feltrinelli, Milano 2022). Partendo dalla considerazione che i corpi viventi sono la condizione stessa dell’esistenza, sostengono che “non si può mai ridurre il presente del vivente all’ora istantanea in cui funzionano gli artefatti. Per il vivente, la storia è ben più che una semplice dimensione evocabile: lo plasma e lo rimodella costantemente. Si avrebbe torto in tal senso ad assimilare quel passato a un’enciclopedia o a un disco rigido (hard disk) in cui i dati immagazzinati rimangono inalterati. Include al contrario, nella sua riattualizzazione nel presente, un forte contenuto di imprevedibilità”. (p. 138)
Riprendendo Spinoza, Benasayag e Cany affermano che ciò che caratterizza un organismo e lo distingue da un aggregato è lo sforzo (conatus), per cui l’esistenza si manifesta come lo “sforzo finalizzato a perseverare nel suo essere”. L’agire è l’essenza del vivente e non indica una mancanza, ma un eccesso di potenza che apre a nuovi scenari. Non a caso Hannah Arendt ha colto nella categoria della natalità, che annuncia al mondo l’apparire del nuovo e la possibilità di iniziare qualcosa di nuovo, ciò che caratterizza la condizione umana. L’esperienza della nascita, fondata sulla contingenza e sulla precarietà, mette in evidenza la fragilità di ogni esistenza, ma anche la capacità di aprire una nuova prospettiva di senso sulla realtà.
Nel nostro tempo però l’azione umana sembra atrofizzata. Perché? La tesi degli autori è la seguente: l’azione umana negli ultimi secoli è stata guidata da una soggettività (l’Io sovrano) che ha pensato di poter dominare con la propria razionalità la natura e i corpi, e di poter trasformare la storia spinta dall’idea del progresso. Obiettivo: la graduale liberazione dell’umanità dalle malattie, dalla povertà e dalle ingiustizie.
Il disorientamento che caratterizza il tempo in cui viviamo nasce dal fallimento di questi obiettivi e dal conseguente tramonto del mito del progresso. Il futuro ha mutato segno. Non si presenta più come una promessa, ma come una minaccia. L’aumento esponenziale dei tumori e l’epidemia causata dal Covid-19 hanno messo in rilievo la fragilità della nostra condizione esistenziale all’interno di un ambiente che abbiamo saccheggiato, inquinato, in parte distrutto. Hanno reso evidente la nostra dipendenza dalla natura di cui siamo parte e non padroni.
Ormai siamo perfettamente consapevoli degli effetti catastrofici sull’ambiente del nostro modello di vita e dei pericoli che corriamo, ma non agiamo. Perché? Ogni agire nasce dalla capacità di immaginare altri mondi, ma il realismo tecnico-economico dominante ci convince che non c’è alternativa. L’orizzonte dell’uomo postmoderno, sopravvissuto alla fine delle ideologie, è l’io individuale alla ricerca del piacere, in un mondo diventato un terreno di gioco: “Nelle nostre società orfane del senso del progresso, l’informatica e la robotica pervengono a ristrutturare nuove profezie di vita aumentata, finalmente liberata dalle limitazioni inscritte nei corpi e nei processi singolari del vivente. L’accesso a quell’illimitato ha però sempre un prezzo: rinunciare a esistere per diventare i nostri profili, trasparenti a noi stessi e agli altri”. (p. 33)
Attraverso la genetica, la robotica, l’informazione e la nanotecnologia, gli adepti della tecnologia (i transumanisti) sognano il superamento della malattia, dell’invecchiamento e della morte. In definitiva, la liberazione dell’intelligenza dal corpo mortale. Secondo Benasayag e Cany, invece, proprio la valorizzazione dei corpi, del campo biologico, potrà ridare all’azione umana un ruolo da protagonista per mettere la tecnica al servizio degli esseri viventi.
Pensare di bloccare lo sviluppo tecnologico è una follia. In meno di cinquant’anni le tecnologie digitali e robotiche si sono diffuse ovunque e in tutti i settori. L’ibridazione dell’umano con la tecnica è già realtà perché le tecnologie digitali fanno ormai parte integrante della nostra vita, ma occorre riflettere sulle condizioni di questa ibridazione affinché non colonizzino il vivente e distruggano la sua singolarità. Sono necessarie pratiche che riconducano l’umano all’interno degli ecosistemi. Sono interessanti da questo punto di vista i cambiamenti che stanno avvenendo sul piano giuridico. Paesi come l’Ecuador, la Bolivia, la Colombia, la Nuova Zelanda e l’India hanno infranto la frontiera che sembrava insuperabile tra l’uomo e la natura, con il riconoscimento della personalità giuridica ad animali, piante, fiumi. É il segnale di una ricomposizione dei rapporti con la natura che configura nuove espressioni dell’agire.
Anna Colaiacovo
¹ | https://www.repubblica.it/tecnologia/2023/01/22/news/chatgpt_intelligenza_artificiale_intervista_luciano_floridi-384394558/ |
Grazie, Anna, per il tuo contributo particolarmente interessante
RispondiEliminaL'ho diffuso anche via FB
RispondiEliminaGrazie, Augusto!
Elimina