Con la morte di Zigmunt Bauman, perdiamo un grande intellettuale che nei suoi testi ha analizzato e denunciato, con uno sguardo non solo sociologico, ma anche antropologico e filosofico, i caratteri della fase storica che stiamo attraversando. L’ha definita modernità liquida, il termine è entrato talmente nell’uso comune che francamente oggi se ne abusa.
Perché liquida? Perché i liquidi non conservano a lungo la propria forma, non fissano lo spazio, hanno bisogno di contenitori, di forme esterne per mantenere una coesione interna.
La prima fase della modernità, quella solida, era fondata su istituzioni durevoli e stabili, su un controllo razionale dello spazio e del territorio, sulla negoziazione dei diritti. Dal punto di vista dell’individuo, era basata sulla fiducia: nelle proprie capacità (posso imparare a fare qualcosa), negli altri (ciò che ho appreso mi viene riconosciuto) e nelle istituzioni, nella loro stabilità (garantiranno che ciò che ho costruito nella mia vita varrà anche domani).
La società della modernità liquida, la nostra, è caratterizzata, invece, da una erosione della politica a scapito dell’economia: da leggi di mercato spietate e da istituzioni che non sono in grado di regolarne gli effetti (il mercato non persegue alcuna certezza, anzi prospera sull’incertezza). Oggi dominano la precarietà e la sfiducia che Bauman ben rappresenta attraverso una metafora:
“L’insicurezza odierna assomiglia alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota”.
E quei passeggeri come potrebbero comportarsi?
Se la precarietà è dappertutto e rende incerto il futuro, il problema non è più quello di avere forze sufficienti per raggiungere un obiettivo domani, come avveniva nella modernità solida, ma nell’essere continuamente vigili sulle strade percorribili (opportunità?), oggi. Privo di riferimenti certi, l’individuo deve agire in tempi rapidi, sempre pronto al cambiamento, in un continuo calcolo di costi e benefici. Da un lato, rispetto al passato, ha certamente margini di libertà e flessibilità più ampi, ma, dall’altro, è esposto al rischio continuo di cadere nell’ansia da prestazione, perché, sul piano concreto, le libertà sono limitate e gli altri vengono percepiti come ostacoli per la sua affermazione.
In un mondo di esperienze frammentate, gli individui hanno in comune la tendenza ai rapporti discontinui, ai legami deboli, facilmente gestibili e di breve durata, ma l’unico gestore dei legami - pensiamo alla rete di internet con i relativi nodi - rimane il creatore stesso che ne ha il controllo e che può cancellare l’altro in un istante. Naturalmente, però, tutti gli individui hanno le stesse possibilità e da qui nasce una grande insicurezza.
Le relazioni, quando si creano, devono potersi sciogliere facilmente perché sono viste come un impedimento verso altre opportunità; più che di legami, possiamo parlare di connessioni. Connettere e disconnettere è facile, e la facilità viene scambiata per libertà, massimo valore di un individuo che tende a investire le proprie energie emotive nel culto di sé e della propria immagine.
L’analisi di Bauman è catastrofica o rappresenta bene il mondo in cui viviamo? Inoltre, rispecchia la situazione italiana o i legami familiari da noi resistono, nonostante tutto? Certo, c’è un segnale incontrovertibile della precarietà e della sfiducia nel futuro nel nostro paese, anche se le cause del fenomeno possono essere tante: il crollo delle nascite.
Anna Colaiacovo
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